C’è un libro, Il gatto che aveva perso la coda (Carthusia editore), che racconta la storia di un gatto che ha smarrito la sua coda e che parte, con un casco in testa e a bordo di un’astronave, per cercarla. Il viaggio, lungo e complicato, lo porterà infine a conquistare una coda da tigre e un cuore da leone. Questa fiaba è stata pensata e scritta per i bambini dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano che sono costretti, per curarsi, a sottoporsi a sedute di radioterapia e che, proprio come il gatto, devono indossare una maschera e introdursi in un macchinario assai simile ad una navicella spaziale. Le storie, come in questo caso, hanno a volte il potere di infondere coraggio, smorzare la paura, alleggerire il peso della sofferenza, distogliere l’attenzione dal pericolo.
La fiaba del gatto tigrato mi è tornata in mente giorni fa quando mi sono imbattuta in questa notizia che mi ha sorpreso e rallegrato: presso la ludoteca del reparto di Oncoematologia pediatrica dell’Ospedale Civico di Palermo, i bambini, tra i 3 e i 10 anni, affetti da malattie come la leucemia o il tumore, hanno incontrato alcuni tecnici e operatori subacquei della Soprintendenza del Mare. Per qualche ora, i piccoli pazienti hanno avuto la possibilità di vivere in una dimensione fantastica e scoprire non solo le straordinarie creature che popolano i fondali del Mediteranneo, ma anche conoscere più da vicino, grazie anche alle immagini proiettate, le ricerche archeologiche subacquee (qui).
I bambini coinvolti nel progetto hanno potuto vedere e toccare alcune riproduzioni di reperti archeologici rinvenuti in fondo al mare, come le anfore, e indossare l’attrezzatura del sub: gav, erogatore, bombole e maschera. Il progetto, ribattezzato da uno dei piccoli ospiti del reperto pediatrico “Verde come le alghe, blu come il mare”, prevede altri incontri e, a fine estate, delle escursioni didattiche a mare, durante le quali i bambini potranno immergersi in cantieri subacquei appositamente simulati e provare l’ebrezza della scoperta.
Le storie, quelle che nascono nella testa o che scaturiscono dalla nostre esperienze quotidiane, quelle che appartengono al regno della fantasia o che si nutrono del colore della terra e del profumo del mare, hanno un potere straordinario sulle nostre vite: possono non soltanto arricchirle e caricarle di senso ed emozioni, ma possono anche alleviare la sofferenza, curare i mali del corpo e dell’anima. Questa è la ragione per cui è fondamentale che anche gli archeologi, ad esempio, imparino a condividere le storie del passato, custodite negli abissi marini o negli strati più remoti della terra, con i bambini, oltre che con gli adulti. Il racconto, in tal caso, è necessario non solo per favorire la conoscenza e sensibilizzare il pubblico verso tematiche e problematiche altrimenti sconosciute, ma anche per trasmettere emozioni e sensazioni che possono essere persino terapeutiche.
La curiosità, l’entusiasmo, la passione, la gioia della scoperta che pur fanno parte del mestiere dell’archeologo, assieme alle tante difficoltà e alla fatica, possono trasformarsi in un nutrimento prezioso e in un benefico diversivo per un bambino malato e la storia dei piccoli pazienti dell’ospedale di Palermo lo dimostra.
Una ragione in più, valida come tante altre, per capire quanto importante sia porre al servizio e al diletto degli altri il proprio sapere.