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Tu m’intordelli, a chi intordelli?

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Raffaello Baldini ha scritto di quelli nati a Santarcangelo nei primi anni venti, che la loro lingua era il dialetto. Ed era inevitabile. Tutti intorno a loro parlavano il dialetto, il babbo e la mamma, il nonno e la nonna, lo zio e la zia, i compagni di gioco. Anche le cose. Tutto il mondo parlava in dialetto.
Ma per Nino Pedretti non era stato così. Figlio di due intellettuali, lui aveva sempre parlato l’italiano e il dialetto era stato, per lui, per prima cosa, la lingua della comunità, di tutto ciò che lo circondava – lingua fraterna, non materna. (Due o tre cose su Nino e il dialetto, in Nino Pedretti, Al vòusi e altre poesie in dialetto romagnolo, a cura di Manuela Ricci, con una nota di Dante Isella, Torino, Einuadi 2007).
Scrivo come sono tornerà a settembre, con un omaggio a Raffaello Baldini (con piccola perla inedita compresa!) e così, oggi, vi saluta con un omaggio a Nino Pedretti, poeta e maestro, linguista e traduttore, che scrisse nel 1982 dei pezzi fantastici per il teatro dedicati ai bambini dai quattro ai dodici-tredici anni, il Teatro Minimo, uscito per il Centro Stampa del Comune di Pesaro.

Nel Teatro Minimo tra vocali ribelli e le buone regole della grammatica fatta per il popolo, talvolta si spezzano, disvelandosi, gli automatismi del linguaggio ufficiale, come in La Festa degli Alberi:

Segretario  Signor Direttore, Le ricordo che oggi è la Festa degli Alberi.
Direttore  La Festa di che?
Segretario  La Festa degli Alberi. C’è la cerimonia, come tutti gli anni.
Direttore  Ma non è per lunedì?
Segretario  No, è per oggi.
Direttore  Ma oggi non abbiamo la Festa dei Due Mari?
Segretario  No, Direttore, la giornata dei Due Mari era ieri. Oggi ci sarebbe la Dante. Ma è stata rimandata per la Festa degli Alberi.
Direttore  Ma qui si diventa matti, qui non se ne può più dal lavoro con tutte queste feste.
Segretario  Le ricordo anche la giornata della Madre e del Fanciullo e la giornata del Francobollo e la giornata del Risparmio.
Direttore  Bisogna andare Bertoni, bisogna andare. C’è il discorso della Festa degli Alberi. Mi dia la cartella dei discorsi.
Segretario  Subito Direttore… ecco è in questo armadietto. No, non dove guarda lei, là ci sono i discorsi di Storia, la scoperta dell’America… Garibaldi, è qui, doveva essere in quella cartellina verde. Ecco, ecco qui, sono tutti in duplice copia, così se ne va persa una… vediamo.
Direttore  Si sbrighi Bertoni, per favore, si sbrighi…
Segretario  Un momento Direttore, un momento… ecco è il primo, sono in ordine alfabetico… alberi… no, è sotto festa.
Direttore  Ma perché sotto festa, andava tanto bene sotto alberi… Allora sotto con questa cartella!
Segretario  Non c’è.
Direttore  Come non c’è?
Segretario  Non la trovo.
Direttore  Ma vuole scherzare?
Segretario  È sicuro che lei non l’ha tirato fuori… per ripassare…
Direttore  Ma mi faccia il piacere Bertoni… che ho il tempo di ripassare il discorso sulla Festa degli Alberi… e poi se lo leggo che bisogno ho di ripassarlo… Bertoni!
Segretario  Ecco, l’ho trovato. Forse è stato il supplente che l’ha messo sotto la elle. Infatti il titolo è ‘La Festa degli Alberi’.
Direttore  Che cretino quel supplente…

O ancora si creano giochi e processi di trasformazione di sonorità per istinto ritmico-musicale, alla maniera di Toti Scialoja che con la sua poesia voleva creare quei ‘paesaggi di parole’ che liberano il bambino dalla soggezione al linguaggio e dentro i quali essi entrano ed escono con felicità e naturalezza (in «Il Verri», dicembre 1988).

Ecco un esempio di moltiplicata composizione sul reticolo semantico e sillabico della lingua dove il lettore è chiamato a collaborare alla messa in scena del testo e dove a fronte di una reiterata astrazione, la lingua appare e si realizza come cosa che si fa aprendo a un risveglio di coscienza linguistica che rimanda a un risveglio di coscienza tout court.

Ecco Lo scontro e… buon divertimento!

Infedele  Tu non sai, cavaliere, che io avevo due fratelli di cui uno si chiamava Tello, così bravo in armi che non c’era giovane guerriero che a lui non andasse per imparare l’uso del ferro. Così che quando per esempio chiedevano dov’è Alchimelek? Rispondevano è col Tello. Da cui è venuto appunto il nome coltello con cui si designa quello strumento di taglio.

Cavaliere  È un singolare avvenimento, cavaliere, che io pure avevo un fratello che si chiamava Ale. E ogni volta che il nonno chiedeva: dov’è Ale? Mia madre rispondeva: è alla pugna Ale, oppure pugna, Ale. Da cui venne il sostantivo pugnale, arma come ognun sa assai più insidiosa di un comune coltello.

Infedele  Basta con le ciance. Si venga alle armi. Ora ti affetterò con questo mio spadone. E poiché sei così basso, nano ed appiedato non ti taglierò come un salame, ti taglierò come un ananasso.

Cavaliere  Vieni ordunque che io ti squarto, ti triangolo, t’intrapezio, ti tordello.

Infedele  Tu m’intordelli, a chi intordelli? Io ti tronco, ti trucido, ti apotenuso, ti bazuco, ti tramezzo, ti perifraso.

Cavaliere  E io ti pesto, ti anapesto, ti tracheo, ti pirrichio.

Infedele  A chi impirricchi, o appiedato? Io ti taglio, t’attanaglio, ti incatetero, ti apocopo, ti sìncopo.

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