Jandy Nelson, Ti darò il sole, Rizzoli
Ci vuole un po’ di tempo per familiarizzare con il mondo di Noah e Jude, soprattutto con quello di Noah. Almeno tutto il primo capitolo.
Poi, quando sei pronto a dargli il visto di approvazione, lo vedi sgretolarsi sotto le dita: ti viene un leggero senso di vertigine, ma ne sei quasi sollevato.
Non perché la prima versione non ti piacesse, ma perché ci doveva essere un motivo, se ti risultava così tanto, tantissimo, straripante, troppo.
All’inizio pensi, ok, è figlio di un’orfana un po’ svitata, deve essere quello. Poi capisci: capisci che, se a 13 anni (o a 16 o anche adesso!) avessi avuto pure tu una madre e una nonna un po’ svitate, saresti stato tanto come Noah anche tu.
Che se gli adulti intorno a te non si fossero limitati a fare i censori (come il padre dei due gemelli), ma ti avessero autorizzato a essere tutta quella immensità che sei, e che si è soprattutto nell’adolescenza, forse qualche problema con la società l’avresti avuto lo stesso, sì, ma avresti perfettamente saputo che a essere in difetto era lei e non tu, perché tu sei un artista, se non un artista d’arte, un artista del tuo peculiare, preziosissimo, vitale, fondante, sentire.
Forse è per questo che leggere Ti darò il sole di Jandy Nelson, uscito oggi per Rizzoli, da grandi (cioè passati i 30 o quando il genitore sei tu) può dare fastidio: ti accorgi subito come nessuno ti abbia autorizzato quel sentire sfrenato, che ancora hai imprigionato sottopelle e che ora si esprime sotto forma di tic nervosi, fobie, ansie “da grandi”, facendoti ogni tanto sentire riuscito a metà.
Ed è anche per questo che, una volta capita l’antifona, te lo divori questo libro, un capolavoro YA, che non a caso ha vinto la Printz Medal, la stessa che ha catapultato John Green nell’olimpo degli scrittori per ragazzi con Cercando Alaska, ed è stato citato dai critici statunitensi come uno dei migliori romanzi (la categoria YA, fidatevi, è superflua) del 2015.
Sapete perché non vi racconto la trama? Perché l’intensità del suo svolgersi, i pieni – e anche i vuoti, anche quelli sono così dannatamente importanti – che emergono dalla lettura e nella scrittura di quest’opera di formazione, non c’è trama che li possa reggere. Inoltre non c’è fatto che io possa anticiparvi che non finirebbe per togliere pathos e poeticità alla storia dei due gemelli, Noah il lui e Jude la lei, che abitano in una California contemporanea e che, a un certo importante punto della propria vita, si troveranno ad avere a che fare con una rinomata scuola d’arte, ingresso a numero chiuso e “farebbero carte false per essere qui al tuo posto” connessi. La California School of Aliens – almeno così l’hanno ribattezzata i ragazzi fieri dell’etichetta “normale” – è un vero punto di snodo sia nelle loro singole esistenze, sia nel loro simbiotico rapporto, una sorta di terza vita autonoma, un terzo personaggio vivo della storia, forse il più travagliato di tutti.
Di arte queste pagine ne trasudano tanta: che sia meta arte, ossia tutta la maestria silente che la penna della scrittrice emana o che sia arte vera in forma di vocazione di uno (o di entrambi?) i fratelli. Quello che conta è che ci sia e che sia qualcosa di non univoco, bensì un linguaggio parallelo a quello delle parole eppure così pregno e importante che ha la funzione di far esprimere il cuore, se poi uno è bravo o portato, sapete, significa ben poco!
Insomma ho adorato Ti darò il sole, sebbene fossi partita prevenuta dalla fanfara di successi che me lo ha presentato e fossi rimasta un po’ stordita dalla sensazionale interiorità che emerge fin dalle prime pagine, io (personalissimamente) amante del discreto. Un inno all’espressione di qualunque moto interiore e allo sforzo a-giudiziale soprattutto verso se stessi, che sto pensando instancabilmente a quale nipote fare leggere per primo.
Libri così plasmano adulti migliori, ve lo consiglio caldamente.