Nel leggere Piccole cose così importanti, di Peter Carnavas per Valentina Edizioni, sono stata lettrice, madre, figlia e anche moglie. Soprattutto figlia però.
Devo essere sincera, ho fatto un tentativo di lettura con Eva, ma a due anni e mezzo è ancora troppo piccola. La conferma è stata duplice: l’ho avuta subito nel suo voler sfogliare questo libro “bello bello” in fretta per arrivare alla fine della storia, che però la mamma non esplicitava mai. Si è goduta tutto, ma non fino in fondo, forse per mia reticenza o forse perché incapace (ancora) di afferrare? Un’ora dopo aver riposto il libro, eravamo in macchina ed è arrivata la seconda parte della conferma: dal nulla mi ha chiesto “Il papà è tornato?”. Il suo papà stava guidando e lei si riferiva al papà del bimbo del libro, Christopher, che invece non sarebbe rientrato mai più.
Sì questo libro – segnalato per bambini dai 3 ai 7 anni – parla di lutto in modo lieve e incredibilmente toccante, soprattutto per un adulto che nel leggerlo si trova, se se lo permette, in gioco su tutti i fronti. Innanzitutto è il genitore che potrebbe andarsene e che non vorrebbe mai, poi è il genitore che potrebbe rimanere e non sa come fare, ancora è la persona che si potrebbe trovare a gestire un vuoto insopportabile in se stesso e nel cuore innocente della sua estensione, l’entità oltre umana, che ogni figlio impersonifica per il proprio genitore. Si taglierebbe un braccio, se aiutasse, per non vedere lo smarrimento negli occhietti e nell’arrancata nuova routine del piccino, ma non servirebbe proprio a nulla.
Poi l’adulto che legge è stato anche un bambino, per quanto ne si soffochi il ricordo, e non smette mai totalmente di esserlo. E il bambino è un figlio che può aver perso il papà o la mamma e allora tutto quel dolore rimonta e lo smarrimento di Christopher e della sua mamma torna a essere familiare, a diventare quella presenza con la quale così poco volentieri si convive quotidianamente, che proprio come i vecchi oggetti del papà, impacchettati e portati dal rigattiere nel libro, non ne vogliono sapere di scomparire, ma rientrano sempre nella vita, nel cuore, se non dalla porta, dalla finestra, se non su invito, di notte, a tua insaputa.
Quelle Piccole cose così importanti – una tazza, uno spartito, delle pantofole – sono però destinate a fiorire, se le si lascia fare. Le si guarda e si ricorda, si rielabora, meglio se insieme, ma l’importante è farlo, e si smette di avere paura della sofferenza: i bambini sono più aperti e pronti e bravi in questo, se gli adulti lasciano loro lo spazio.
La lettura di questo libro lo ha dimostrato ampiamente: forse Eva sarebbe stata anche pronta a sapere che succede, a volte, che persone e animali che amiamo vadano via per sempre, magari avrebbe pianto e sarebbe stata triste per un momento, ma poi avrebbe integrato la notizia, l’avrebbe fatta sua e avrebbe arricchito la sua vita con una nuova consapevolezza, che sì capita, ma gli si gira intorno e si va avanti, che altra alternativa c’è?
La saggezza dei piccoli è questa ed è immensa. Quella della mamma di Eva, la mia, lo è stata un po’ meno: non sono stata pronta ad affrontare nemmeno un grammo di sofferenza organica, forse per paura che avrebbe scatenato la mia davanti a lei e… e… e allora?
Insomma, il pianto degli occhi, dell’animo, è parte integrante dei nostri giorni, dà loro senso e valore, avvicinarsi a tale saggezza nei primi anni è strano, ma probabilmente necessario ed è meglio farlo con il tramite della bellezza, della lettura, delle parole, dei colori, delle illustrazioni, specie se parlanti, bellissime e piene come nel volume di Valentina Edizioni dall’infinita, ma non gratuitamente struggente, tenerezza.