Bliesbruck, Gallia Belgica, 275 d.C.
Guardando il fuoco scoppiettare allegramente nella cucina della taberna, le fatiche estive della raccolta della legna erano solo un brutto ricordo. Nella Gallia Belgica il freddo di dicembre è davvero difficile da sopportare e né a Gallieno né a Vittorina dispiaceva aiutare il padre Treboniano nel tepore della cucina. Facevano già di tutto e può sembrare strano che avessero solamente 11 e 9 anni: servivano a tavola, pulivano il pavimento, riempivano i boccali di cervogia, la birra gallica, e andavano a prendere nel magazzino gli ingredienti necessari per preparare il cibo.
Pochi erano i viaggiatori di quei tempi, la frontiera era davvero vicina e, dopo la cruenta fine dell’imperatore Aureliano, anche poco sicura. I frequentatori più assidui della cittadina erano soldati romani e i due fratelli ne conosceva molti ormai. Anche i commercianti non mancavano; si sa, dove c’è aria di guerra gli affari vanno a gonfie vele. I soldati facevano arrivare prodotti dalle più lontane province dell’impero e questo Gallieno e Vittorina lo sapevano bene: proprio quella mattina era entrato nella taberna un commerciante che non avevano mai visto e che aveva richiamato la loro attenzione per l’acceso colore rosso che tingeva le sue guance: “Che freddo che fa, io non ci sono abituato… per venire dalle terme a qui mi sono completamente congelato! Ma questa taberna fa al caso mio!”
“Ave, la taberna è qui proprio per offrire riparo e ristoro – rispose Treboniano – Questo dicembre fa molto freddo, il fiume è già gelato e anche le strade non sono facilmente percorribili! In cosa posso esserle utile?”
“Mi chiamo Manlio Sofo, sono un mercante e vengo dall’Italia, esattamente dal Piceno. Devo consegnare un’anfora ad un certo Lucio Falerio. E’ un soldato e presta servizio in una delle fortificazioni sul confine, ma non so precisamente in quale. Però alle terme mi hanno detto che spesso viene qui, quindi vi chiedo se poteste prendere voi l’anfora e dargliela quando viene.”
“Uhm…. non sono sicuro di aver capito chi sia, questa è una taberna e passa molta gente anche se i tempi non sono dei migliori, però dovrebbe essere un uomo tarchiato molto taciturno, che parla un latino molto originale!”
“Sì pater, secondo me è proprio lui… – intervenne Gallieno – ordina sempre cinghiale e birra e, quando gliele porto al tavolo, si mette sempre a fantasticare su alcune olive… ma non so bene a che cosa si riferisce!”
“Io forse lo so… – disse Manlio Sofo – seguitemi!”
Uscirono nella neve e si diressero al carro del mercante, parcheggiato appena fuori la taberna. C’era poca gente in giro con quel tempaccio e gli unici suoni che si sentivano erano quelli degli artigiani al lavoro nelle loro botteghe. Sul carro giaceva un’unica anfora, con una scritta verniciata su una spalla. Gallieno e Vittorina erano curiosi: volevano leggere la scritta perché sapevano benissimo che indicava quello che c’era dentro l’anfora. Ma la neve copriva alcune lettere e, sia il padre che il mercante non vedevano l’ora di rientrare in taberna. Presero l’anfora e la portarono dentro, facendo attenzione a non scivolare sulla superficie ghiacciata del selciato.
Appena gli adulti ebbero appoggiato l’anfora a terra, Gallieno e Vittorina pulirono l’anfora dalla neve con le mani e poterono leggere la scritta.
Foto da: Cibo e sapori nelle Marche antiche, Macerata, 2005, p. 32.
“Oliva picena??? Sono le olive di cui ci parlava il soldato?” chiesero ad una voce sola Gallieno e Vittorina
“Esatto! – rispose Manlio Sofo – Il nostro Lucio non ne sa fare a meno, così la famiglia gliele ha fatte mandare da Ausculum.”
“Ma come sono? Quando si mangiano? Sono famose?”
“Io le ho provate quando sono stato ad Ausculum. Sono delle grosse, tonde olive verdi, conservate in salamoia, tenere e dolci. Possono essere servite come antipasto ma anche come specialità alla fine del pasto. In Italia sono molto diffuse e conosciute.”
“Sembrano davvero invitanti… peccato non poterle provare! Non voglio avere alcun tipo di problemi con un soldato!” disse Treboniano, con un tono che non ammetteva repliche, almeno in apparenza.
“Su pater – intervenne Gallieno che era il più grande e si prendeva sempre le responsabilità maggiori – in fondo noi gli custodiamo l’anfora qui nella nostra taberna, se gli assaggiamo qualche oliva non c’è niente di male. Nemmeno se ne accorgerà!”
“Stai per caso contestando un mio ordine Gallieno?”
Fu così che Gallieno e Vittorina si ritrovarono a muoversi come delle biglie da una parte all’altra della cucina. Treboniano era stato chiaro: se volevano assaggiare le olive le avrebbero assaggiate come facevano i ricchi bambini di Roma. Sarebbero stati loro a dover preparare un pasto all’altezza.
“Vittorina, dici che la situazione ci è sfuggita di mano?”
“Direi di sì Gallieno… io non so come si cucina!”
Foto da: Cibo e sapori nelle Marche antiche, Macerata, 2005, p. 33.
Come abbiano fatto Gallieno e Vittorina ad uscire da questa situazione ingarbugliata non lo sappiamo. Gli archeologi hanno trovato l’anfora con su scritto Oliva Picena all’interno della taberna distrutta da un incendio. Chi avrà appiccato l’incendio? Saranno stati Gallieno e Vittorina a non aver controllato il fuoco durante la preparazione del cibo mentre Treboniano chiacchierava con Manlio Sofo? Saranno stati i barbari che dopo la morte di Aureliano sappiamo presero coraggio e invasero la Gallia? A pensarci bene, però, se non ci fosse stato l’incendio probabilmente non avremmo saputo di queste olive picene in Gallia Belgica. Chissà se Gallieno e Vittorina fecero in tempo ad assaggiarle… e voi come concludereste questa storia? Se vi andasse di trovare un’altra conclusione scriveteci a [email protected] e pubblicheremo il vostro finale.
Francesco Ripanti