I libri, lo sappiamo, sono importanti e servono a molte cose, a volte, ci fanno persino capire delle cose su noi stessi. È questo il caso dell’ultimo libro che ho letto e sapete, cari kids, a cosa mi è servito? Ve lo dico subito: mi è servito a capire che l’aver deciso di occuparmi di letteratura per ragazzi è stata la scelta migliore che potessi fare, perchè, altrimenti, alla soglia dei quarant’anni, sarebbe stato davvero difficile ritrovarmi a leggere un libro così bello catalogato appunto come “per ragazzi”.
In un articolo di qualche tempo fa spiegavo già che per me non esistono categorie e che un un buon libro è un buon libro, punto. Ma, in ogni caso, posso affermare che mi sento davvero privilegiata a poter leggere, ancor oggi, delle storie che, probabilmente, se facessi un altro lavoro, non attirerebbero la mia attenzione. E così, grazie al cielo, è arrivato tra le mie mani questo gioiello dal titolo : Sophie sui tetti di Parigi, di Katherine Rundell, tradotto da Mara Pace, edito da Rizzoli.
Innanzitutto, devo dirvi, che subisco il fascino dei libri che parlano di altri libri, e in questo ce ne sono tanti, anzi, sono dovunque e vengono usati persino come piatti. Non so perché, questa cosa mi ha fatto pensare alla profezia che le Arpie fanno a Enea, quando gli dicono che capirà dove edificare una nuova città solo quando mangerà il suo stesso piatto. Sulle rive del Tevere, affamati, Enea e i suoi compagni macineranno del grano per fare delle focacce, le useranno da piatto per nutrirsi di frutta e bacche trovate lì intorno e, alla fine, per la fame, mangeranno anche la focaccia. Ecco che la profezia s’avvera e Enea capisce di aver finalmente concluso il suo lungo viaggio. Ora, però, devo spiegarvi il perché di quest’analogia: Enea non c’entra niente con questa storia ma, di sicuro, l’importanza che i libri e la lettura hanno in questo romanzo, ci fa capire che l’autrice stessa dev’essere una mangiatrice di libri, una divoratrice di storie.
Bando alle ciance, torniamo a Sophie la cui storia è davvero inusuale, avete mai sentito parlare, infatti, di una trovatella rinvenuta in mare dentro alla custodia di un violoncello? Non vi pare che già ci siano i presupposti per una storia fantastica? Così è. A trovare la piccolina dai capelli lucenti come fulmini è Charles, uno studioso, un uomo tutto d’un pezzo, che stravolgerà la sua esistenza per prendersi cura di Sophie, a modo suo, ovviamente. La casa di Charles è piena di libri e Sophie ne avrà dimistichezza sin da subito, i libri saranno i suoi primi amici, i libri e Charles. Ops, non vi ho detto che la storia si svolge in Inghilterra e che l’Inghilterra, ai primi del Novecento, non era certo un posto nel quale una bambina poteva crescere accanto a uno scapolo adulto che, tra l’altro, le permetteva di indossare pantaloni, scrivere sui muri e non pettinarsi mai i capelli. Purtroppo, proprio a causa di queste anomalie nell’educazione di Sophie, i servizi sociali, al compimento del suo dodicesimo anno, riterranno opportuno allontanarla dal suo tutore, dall’unica persona a cui la ragazzina voglia davvero bene, dal suo Charles. L’idea le è insopportabile quasi quanto quella di non aver mai conosciuto la madre, madre della quale ha dei ricordi precisi, sebbene nessuno le creda. L’unica cosa da fare è fuggire e andare alla ricerca della madre seguendo l’unico indizio a sua disposizione, la targhetta all’interno della custodia del violoncello che fu la sua prima culla. Prima, però, doveva convincere Charles a fare con lei quel viaggio verso Parigi, poichè la targhetta riportava proprio un indirizzo parigino. Una cosa le aveva insegnato Charles: non tralasciare mai una possibilità e, all’insegna di quel motto, Sophie e Charles si metteranno in viaggio verso una città sconosciuta in cui, però, a Sophie sembra tutto familiare. Di Parigi, Sophie conoscerà soprattutto i tetti che, oltre a fornirle una nuova prospettiva sulla città come sulla vita, le daranno la possibilità di farsi nuovi amici e di far cose che non aveva mai fatto in vita sua, come saltare da un tetto all’altro a piedi nudi o suonare il violoncello sui tetti di Parigi.
Mi fermo qui, credo che quanto detto finora basti a farvi capire che non stavo affatto esagerando e che, ahimè, Sophie mi manca già.