Meg Wolitzer, Quello che non sai di me, Il Castoro
Tra i libri di questo autunno che conserveranno un posto speciale nella mia memoria di lettrice (anzi, nel mio cuore), sicuramente ci sarà Quello che non sai di me, di Meg Wolitzer, appartenente a Hot Spot, il marchio crossover di Editrice Il Castoro (ve ne abbiamo parlato già qui).
“Mi hanno mandato qui per via di un ragazzo. Si chiamava Reeve Maxfield e io lo amavo, ma poi lui è morto e dopo quasi un anno nessuno sapeva più cosa fare con me. Alla fine hanno deciso che la cosa migliore fosse mandarmi qui”.
A parlare, ad apertura del romanzo, è la voce narrante, quella di Jam (soprannome di Jamaica), una ragazza di sedici anni.
Il qui si riferisce a Wooden Barn, un college per ragazzi “emotivamente fragili e con un alto quoziente intelletivo”, così almeno si legge nel volantino che promuove la struttura. Jam non crede che questo college possa aiutarla a stare meglio, anzi all’inizio avrebbe voglia di andar via subito, ma i suoi genitori le chiedono di resistere, almeno per il primo semestre, soprattutto perché non sanno più che cosa fare per aiutarla.
Nelle prime pagine, quelle del Prologo, veniamo anche a conoscenza del Corso Speciale d’Inglese, quello in cui Jam, pur non avendone fatto richiesta, è stata inserita.
DJ, la sua compagna di camera, una ragazza con alcuni e non specificati problemi alimentari, è stupita e un po’ gelosa della sua ammissione al Corso Speciale d’Inglese a cui anche lei ha provato, senza riuscirci, ad accedere con una sentita domanda di ammissione. Perché questo corso è così speciale? Nessuno lo sa, almeno nessuno oltre a chi ha avuto la fortuna di seguirlo negli anni precedenti. Si tratta di un corso, infatti, a cui sono ammessi pochissimi alunni, selezionati dall’insegnante, la signora Quenell, una delle più anziane del college, arrivata al suo ultimo anno di lavoro prima del pensionamento.
Il corso ha due caratteristiche principali: dura solo un semestre e durante il corso si studia un solo libro di un unico autore.
Jam non sa perché vi sia stata ammessa e soprattutto non ha alcuna voglia di ritrovarsi in classe con solo altre cinque-sei persone, obbligata così a partecipare, eppure sin dal suo primo giorno di scuola si trova lì, in classe con la signora Quenell e i suoi compagni di studio: Sierra Stokes, Marc Sonnenfeld, Griffin Foley e Casey Clayton Cramer.
Il libro con cui dovranno confrontarsi è The Bell Jar (La campana di vetro) di Sylvia Plath e già questa scelta lascia perplessi i ragazzi: per loro, “ragazzi fragili”, un libro così… deprimente?
La signora Quenell capisce le perplessità ma continua la lezione e presenta la figura di Sylvia Plath, scrittrice suicidatasi a soli trent’anni, e The Bell Jar, il suo unico romanzo, un libro autobiografico che racconta la depressione di una giovane donna e la sua discesa nella follia.
Durante il semestre, oltre al lavoro su Sylvia Plath, la signora Quenell ha due richieste per i suoi alunni: consegna a ciascuno un diario, dalla copertina in cuoio rosso, rigida, in cui dovranno scrivere due volte a settimana; infine chiede loro di prendersi cura gli uni degli altri, anche se inizialmente nessuno capisce bene questa particolare richiesta.
Fin qui Quello che non sai di me sembrerebbe uno dei tanti romanzi in cui il giovane protagonista affronta una morte o un momento difficile e, dalle premesse, siamo certi che troverà nel nuovo ambiente in cui si trova un amico/qualcuno che lo aiuterà a venirne fuori.
In realtà a questo punto si inserisce inaspettatamente nella storia un elemento magico, veicolato dai diari, che confonde le carte dei generi letterari, portandoci dal realismo al fantastico.
All’inizio ci si sente un po’ straniati, proprio come Jam, poi si vuole solo andare avanti nella lettura per scoprire che cosa sta accadendo.
Non vi svelo altro della trama perché in questo caso più che in altri vi toglierei qualcosa.
Posso solo dirvi che non è un libro che chiuderete una volta per tutte, tornerà a farvi compagnia anche una volta finito. Le storie dei ragazzi sono diverse, così come sono diverse le vite dei lettori, ma tutti, in maniera più o meno intensa e più o meno tragica, ci troviamo di fronte ad alcune “botte in testa”: incidenti, errori e responsabilità di cui farsi carico, scelte di cui possiamo pentirci, perdite, dolori che possono sembrarci insuperabili.
È un percorso profondo quello che segna Jam e i suoi compagni di corso, quasi una lunga seduta psicanalitica che permette loro di vedere le cose da un altro punto di vista, liberandosi dalle bugie che, per proteggersi, ognuno raccontava a se stesso.
In questo percorso, risuonano per tutti le parole di Sylvia Plath, del romanzo e delle poesie, quasi uno specchio in cui ritrovarsi. La letteratura (così come la scrittura) si rivela un’arma potente, una cura, un conforto e un confronto.
Alla fine, come dice ai suoi alunni la signora Quenell, il limite tra fragilità e coraggio a volte è così sottile da non riuscire a vederlo:
«Siete tutti perfettamente attrezzati per il mondo e per la vita adulta, più della maggior parte della gente», continua. «Molte persone non hanno la più pallida idea di cosa le colpisca quando stanno crescendo. Sentono una botta in testa alla prima difficoltà e passano il resto della vita a cercare in ogni modo di evitare il dolore. Mentre voi sapete che evitare il dolore è impossibile. E credo che questa consapevolezza, insieme con le esperienze che avete vissuto, faccia di voi persone tutt’altro che fragili. Fa di voi persone coraggiose».