Daniele Movarelli, illustrazioni di Michele Rocchetti, Quellilà, Giralangolo
Due occhi sospettosi non ci guardano in viso, ma scrutano verso destra, verso Quellilà, nella copertina dell’omonimo albo scritto da Daniele Movarelli e illustrato da Michele Rocchetti (edizioni Giralangolo).
No, non si stratta di un refuso, Quellilà è scritto tutto unito. Ma di chi si tratta?
Noi e Quellilà
Il racconto di Movarelli è affidato a una voce narrante che, parlando al passato, contrappone un Noi a dei misteriosi vicini, che nessuno ha mai visto, Quellilà appunto: “Perché loro vivevano di là. E Noi di qua”, e anche la punteggiatura, con un punto fermo prima della congiunzione, ci tiene a tenere separati due mondi che non si conoscono.
Nessuno aveva mai visto Quellilà ma tutti pensavano (perché così “si diceva”) che avessero un aspetto orribile e che fossero cattivi, perché allora rischiare di incontrarli?
C’era qualcuno che, un tempo lontano, aveva conosciuto Quellilà. Si trattava del vecchio saggio (saggio?) Marricordo, un omino piegato dalla vecchiaia e con i ricordi ingrigiti e confusi dal tempo; il lume offuscato della sua memoria ricordava degli esseri spaventosi, “con un milione di denti, una pancia enorme e le gambe corte”… nonostante l’attendibilità delle sue parole fosse veramente scarsa, contraddicendosi lui stesso e perdendo il filo di ogni suo discorso, le descrizioni di Marricordo venivano prese comunque per buone, forse perché è sempre più comodo affidarsi al ricordo sgangherato di qualcuno piuttosto che andare a vedere con i propri occhi.
Assurdità chiama assurdità e un giorno il vecchio Marricordo (o una voce messa in giro a suo nome) cominciò a diffondere un allarme preoccupante che arrivò fino alle orecchie del Re: “Quellilà vogliono attaccarci!”.
Come? Marricordo (o sempre chi per lui) non mancava certo di fantasia, in un crescendo di inventiva che porta il lettore a sorridere e a pensare: “Ma se la berranno anche questa volta?”. Sì, perché non c’è limite a ciò a cui si può credere quando vengono chiamate in gioco le paure più comuni, quelle che offuscano la capacità di giudizio e così, quasi senza rendersene conto, ci si ritrova, oltre che spaventati, anche piuttosto stupidi.
Un attacco di procioni inferociti, talpe giganti per un’invasione sotterranea, trichechi gonfiati a elio, queste erano le terribili armi con cui Quellilà minacciavano la pace degli spaventati Noi.
Dove abita il pregiudizio
Il finale, che non vi rivelo del tutto, apre gli occhi su chi siamo realmente (quel Noi della voce narrante in fondo include anche noi lettori) e su chi sono Quellilà, portando alla luce, dopo una notte più di noia che di spavento, che l’unica invasione sottile e strisciante di cui siamo sia vittime che attori è quella del pregiudizio.
Al testo che, con più livelli di lettura, arriva sia ai grandi – con maggior consapevolezza del messaggio sottinteso dall’uso stesso di parole parlanti – sia ai piccoli – che godranno maggiormente dell’ironia e dell’assurdo – si accompagnano le illustrazioni di Michele Rocchetti, dal forte impatto visivo. Il fondo nero della notte si alterna a quello giallo-arancio del giorno, rosa del tramonto o dell’alba e azzurro degli interni. In tutti i casi su sfondi dal colore piatto e uniforme si stagliano forme geometriche da colori decisi e contrasti forti, uno stile fortemente grafico e deciso, la cui mano avevamo già apprezzato in La nave dei folli.