Le pagine di diario di una prof possono essere così noiose, come la scuola…
27 Febbraio
Con il tempo avverti che ti segue per i corridoi della scuola un compagno cattivo, il disincanto.
Alle volte dimentico che questo mestiere l’ho scelto e fortissimamente voluto ma come tutti i lavori che vivono di contatto costante con l’altro e quando l’altro è un ragazzino il cui mondo ti sfugge mano a mano che passano gli anni oppure è un ragazzino a cui la voce dei tuoi classici non tocca il cuore, il disincanto può diventare un veleno quotidiano a lento rilascio.
L’antidoto potrebbe essere ritornare al ricordo di quel primo giorno nella tua prima classe: riaffiorano alla mente gli sguardi da pulcino dei tuoi alunni usciti da poco dal guscio delle elementari e pensi, come una madre, che questo adolescente foruncoloso di oggi (il pulcino di allora, sembra impossibile), passerà, come un malanno di stagione e si libererà dalla crisalide.
Devi ragionare come in un matrimonio di lunga durata: le persone vecchie che sono sopravvissute alla morte della passione ti dicono che bisogna scegliersi ogni volta e ricordarsi perché, quel giorno, ci si è scelti. È vero anche per l’insegnante in un senso particolare: gli alunni non ti scelgono e tu non scegli loro, ma il tuo matrimonio è con il mestiere. Con la TUA professione.
Per questo nei giorni del disincanto fa bene ritrovare i Maestri e ascoltarli parlare.
L’altra sera ero sprofondata davanti alla TV quando ho conosciuto il Maestro Manzi (se vuoi guarda chi era! Altre notizie su di lui le trovi qui): nato nel 1924 a Roma, inizia a insegnare a ventidue anni, con un battesimo del fuoco nel carcere minorile: lo si può immaginare entrare nella sua prima classe con il sorriso garbato che lo distinguerà sempre.
Lascia la carriera accademica per lavorare sul campo, tra i bambini delle scuole elementari: applica dal vivo la sua costante ricerca di come la nostra mente apprende. La stessa passione da scienziato dell’educazione lo spingerà a tenere, in Sud America, corsi estivi di alfabetizzazione agli indigeni.
Non ama gli schemi: conforta e rassicura, non mette voti ma sigilla la pagella con il timbro “Fa quel che può, quel che non può non fa”, disegna per semplificare, fa sperimentare le nozioni di scienza prima di spiegarle:
“Dimmi, la mela che hai in mano pesa più di questo chiodo? Sì? Allora se la immergi in questa bacinella d’acqua va a fondo e il chiodo galleggia? Prova”
Nell’eterno dibattito ideologico tra trasmissione delle conoscenze e trasgressione, lui fu un trasgressivo e finì ben otto volte sotto commissione per i suoi metodi didattici. La storia, per esempio, non la insegnava: portava i bambini a Dachau e poi, usciti dal cancello, li faceva disporre in cerchio, in silenzio:
“Questa è la storia e io non vi devo dire niente.
Nel 1960 è scelto per condurre la trasmissione Rai Non è mai troppo tardi e diventa il Maestro di tutti gli italiani: insegna a leggere e a scrivere ad adulti analfabeti, un milione e mezzo! E la TV per la prima volta diventa buona maestra, un miracolo che non si è ripetuto ma che oggi, democraticamente dal basso può essere il Web ad assolvere (Kids, basta leggere tra le pagine di YoyKid per capirlo!), rivolgendosi anche a quel resto del mondo che è ancora sotto schiavitù, come dice Alberto Manzi ai suoi alunni giovani e vecchi:
se vogliamo vincere tutti la schiavitù, perché è una schiavitù quella di non saper leggere e scrivere e se vogliamo vincere la cosa più terribile di tutto, l’ignoranza, dobbiamo studiare: soltanto l’istruzione potrà far sì che tutta l’umanità possa vivere bene
Si dimentica quanta passione pulita vada coltivata da chi deve prender per mano dei ragazzi, si dimentica quanto il nostro compito sia fondamentale nella sua semplicità e di come non ci sia bisogno di salire sui banchi, come il mitico Prof Keating dell’Attimo fuggente, per essere un Maestro anticonformista e memorabile.
Caro Maestro, spero che sia tu e non il disincanto ma neppure la tronfia sicurezza del proprio ruolo ad accompagnarci per i corridoi della scuola. Con una mano sulla spalla.
Una Prof, Favella Stanca