È tempo di riflessioni, e di discussioni, sul tema dell'immigrazione. La questione è complessa: politica, economica, legale. E qui non voglio aggiungere nulla ai tanti importanti argomenti che è giusto considerare a questo proposito.
Mi preme però molto il punto di vista dei piccoli.
Un amico di 5 anni di scuola elementare di mia figlia, da poche settimane alle medie, non ha proseguito la scuola con lei. È tornato in Colombia. Ha descritto a mia figlia com'è la cittadina in cui vive la nonna, che lui per anni andava a trovare d'estate, ripassando lo spagnolo. Ora la sua famiglia non ha più lavoro, qui, dopo sette anni di impegno onesto. Perciò tornano laggiù, in una cittadina che a me, raccontata da mia figlia, è sembrata una delle tante tristi cittadine di provincia di certi documentari sui Paesi poveri.
Ma a mia figlia no. Dice che dev'essere un posto molto bello, perché tutte le volte che tornava a scuola, in questi cinque anni, il suo amico era triste di aver lasciato laggiù amici con i quali faceva il bagno nel fiume tutti i giorni, pescava i lucci e dormiva sotto le stelle.
Poi, andandosene ogni fine anno, lo stesso bambino era triste di lasciare qui i suoi amici, con i quali faceva tutt'altre cose. Insomma: un piccolo ereo dei due mondi.
Noi stiamo a discutere di molte questioni importanti e delicate. Intanto i bambini, per fortuna, fanno di tanti mondi il loro mondo. Mentre noi costruiamo muri, loro vivono in rete: contemporaneamente in più luoghi.
Lavoro in tutto il mondo. Amici in tutto il mondo. Vita in tutto il mondo. Perché, misteriosamente, tutti noi, se ci proviamo, scopriamo di essere fatti proprio per questo: per abitare tutto il mondo.
Io non so spiegarlo meglio. Mia figlia, vostra figlia lo sa. Punto.