Come faccio a dirglielo? Quante volte, kids, vi è successo di non sapere proprio trovarle, le parole giuste per chiedere un aiuto, per parlare a un amico, per gridare quello che vi faceva stare male?
Quante volte mamma, papà, avete preferito il silenzio alle parole, perché nominare le cose fa paura?
Quante volte noi tutti, kids di oggi e di ieri, siamo andati in panico per una pagina bianca o per la ragione opposta, per una pagina scritta come un geroglifico, mentre la prof vi diceva “Non sono le parole giuste! Rileggi!”?
Le parole giuste sono impossibili: non assumono mai la forma esatta che avremmo voluto dar loro, comunicano troppo o non comunicano affatto e anche quando crediamo di averle trovate, esse non corrispondono mai al senso delle cose che sentiamo nel cuore e vediamo davanti agli occhi.
La storia di Emma, dodicenne protagonista del romanzo di Silvia Vecchini, Le parole giuste, edito da Giunti, ci riporta al difficile rapporto con questi strani segni che dovrebbero dare un contorno alla realtà.
Emma è una ragazzina dalla sensibilità affilata come una lama ma chiusa in una diversità di cui non conosce ancora il nome: questa “differenza” si chiama dislessia. A scuola preferisce guardare fuori dalla finestra, copia i compiti come può e, come può, cerca di mimetizzarsi in mezzo agli altri. Se le parole scritte sono nemiche dispettose che si trasformano sempre in altro sotto il suo sguardo ansioso (Silvia Vecchini rappresenta con un’espediente grafico di geniale semplicità cosa significhi lettura difficile), Emma ha sviluppato un talento speciale nel cogliere la realtà come un intreccio di enigmi da decifrare e nell’usarli per affrontare le giornate; sa poi trovare le parole giuste, per far ridere le compagne ma quelle parole la allontanano da chi le piace; sa giocare coi silenzi e con le bugie, che sono una verità mascherata dalla paura, quando sente che la mamma le nasconde un segreto, quando non vuole aggiungere alla preoccupazione del papà malato la propria difficoltà, quando, con abilità da detective, ricostruisce il perché delle ombre scese in casa.
La salvezza per Emma arriva da un’insegnante di sostegno, Alessandra, che con le parole ha, all’opposto, un rapporto profondo e sincero, come quello con la sua professione. Sarà Alessandra, la prof che ha scelto di aiutare “chi troverà sempre una porta chiusa”, a insegnare a Emma che le parole sono come oggetti appesi ai fili della memoria, che sono messaggi cui andare incontro, che si trovano anche nel silenzio, che sono capriole come canta Pacifico, che sono le Nuvole di De André, in cui Emma guarda il proprio disagio: vanno, vengono e quando si fermano sono nere come il corvo… ma certe volte ti avvisano.
Le parole giuste è un romanzo delicato e vero: potreste leggerlo la sera invece della TV, kids e riconoscervi nella storia di amicizie e di litigi, nei palpiti d’amore, nei silenzi di Emma, Mathias, Alina, potremmo leggerlo noi genitori, che viviamo o meno la “differenza-dislessia” dei nostri figli e noi prof, per provare a entrare nel cuore e nella mente dei nostri ragazzi, a fianco del cui nome troppo affrettatamente, qualche volta, scriviamo: “Si distrae, non si impegna”.