“Nel sud dell’Italia, in Puglia, esiste un luogo dove s’incontrano due mari e due città: il Mar Piccolo e il Mar Grande, la città piccola e quella grande. La città piccola è fatta per viverci, quella grande per andare a lavorare. Quella piccola di notte dorme cullata dal mare, quella grande non dorme mai. La città piccola è chiamata Taranto, è nata duemilaottocento anni fa ed è stata la città più importante della Magna Grecia. La città grande si chiama Ilva, è nata cinquant’anni fa ed è l’azienda siderurgica più grande di tutta l’Europa.”
Inizia così Non toccate la Terra, romanzo di Miriam Dubini, edito da Rizzoli. Una storia di speranza, di temi e tempi difficili, e di supereroi. Sì proprio supereroi, anche se non hanno il potere di volare o i raggi laser, ma riescono a fare del bene con poco.
È la storia di Davide, 7 anni, a cui viene diagnosticata una grave malattia a causa della diossina che respira. È la storia di Stefano suo fratello grande, che affronterà il passaggio dalla spensieratezza dell’infanzia alla consapevolezza acerba dell’adolescenza. E quella di sua madre Gioconda e suo padre Nicola, che lavora all’Ilva e rischia ogni giorno di perdere il lavoro. È la storia dei suoi cugini Federico e Alessandro, che non si arrendono, e di Natasha, che ‘combatte’ ogni giorno per un futuro migliore. E poi c’è Taranto, quella città a sud, con il mare blu e la grande fabbrica che inquina l’aria e fa ammalare la gente. Quella fabbrica, imponente, che rovina la terra intorno, che non può essere toccata. E il minerale poi, che con il vento solleva una polvere rosa che brucia la gola e gli occhi. Proprio per questo i cinque ragazzi, trasformati nella fantasia di Davide in supereroi come i loro miti Avengers, cercano di rendersi utili e di portare a termine le loro missioni di salvataggio.
“Che gioco è?”
“Noi siamo supereroi, come quelli dei fumetti, e abbiamo superpoteri e supermissioni speciali.”
Il gioco si mischia alla realtà, i ragazzi toccano con mano le difficoltà e la durezza di una città divisa tra la volontà di chiudere la fabbrica e la necessità di tenerla aperta, perché è l’unico posto in cui lavorare. Ma il sorriso, la forza, l’immaginazione di Davide metteranno tutti di fronte al fatto che agire per poter pensare ad un futuro migliore sia l’unica cosa possibile per sopravvivere.
C’è tutto in questo romanzo, c’è il mare e c’è l’Ilva. Ci sono i delfini, ma ci sono anche montagne di minerale. Ci sono persone e ci sono supereroi.
Miriam Dubini ha una scrittura delicata, fresca, discreta, che ci mostra le brutture di una terra ferita. Una terra che cerca di ritrovare se stessa, di riaffermare la sua dignità, di riappropriarsi di una libertà per troppo tempo calpestata.