Nel 1909 le donne non avevano ancora conquistato il diritto al voto, la maggior parte di loro era destinata a sposarsi, a mettere al mondo dei figli, a vivere sotto la dominazione di mariti, padri, fratelli; a poche era concesso esprimere liberamente la propria opinione e a pochissime di studiare e fare carriera.
Dovunque il movimento delle suffragette inneggiava alla parità dei diritti, ma l’Italia aveva ancora tanta strada da percorrere: avrebbe dovuto superare due guerre mondiali e il fascismo, prima di intraprendere la strada della civiltà.
In un tempo e un luogo non facili, in quell’Italia del 1909 dove le donne non contavano quasi nulla, nacque Rita Levi Montalcini, che fin da piccola aveva deciso che il suo futuro non sarebbe stato fra le quattro mura domestiche a prendersi cura di marito e figli, ma in un laboratorio a prendersi cura di tutta l’Umanità.
Rita si laureò in Medicina e Chirurgia specializzandosi in neurologia, nel 1936, appena in tempo. Due anni dopo, infatti, il Manifesto per la difesa della razza di Mussolini impediva a chiunque non fosse ariano di dedicarsi alla carriera accademica e professionale. Rita fu costretta a fuggire in Belgio, dove continuò le sue ricerche finché il Belgio non fu invaso, allora tornò in Italia e a Torino costruì il suo mini-laboratorio per continuare la ricerca. Ci credeva così tanto che continuò a portarsi dietro i suoi studi e il suo mini laboratorio sfuggendo alla persecuzione, su e giù per l’Italia, incurante del pericolo: la sua vita non era nulla, senza la Ricerca. Ma se la Ricerca era essenziale, salvare vite umane lo era ancora di più.
Rita non poteva rimanere chiusa nel suo laboratorio, mentre intorno le persone morivano a decine e decine: nel 1944 era, perciò, impegnata a curare i malati di tifo a Firenze. Faceva da medico, da infermiera, da portantina. Lavorava di giorno e di notte e fu un miracolo se non si ammalò a sua volta. Poi partì per l’America, dove rimase trent’anni, a continuare le sue ricerche neurologiche che le fecero guadagnare il Premio Nobel per la Medicina, nel 1986, una delle più alte onorificenze per uno scienziato. Per una donna, poi, soprattutto. Rita rifiutò il matrimonio, per non togliere tempo al suo amore principale: la ricerca e questo amore riempì così tanto la sua vita da non lasciarla mai sola. Pensava che “ l’umanità è fatta di uomini e donne e deve essere rappresentata da entrambi i sessi” e lei l’ha rappresentata così bene, che possiamo solo sentirci onorati di essere stati suoi concittadini.
Fino all’ultimo giorno della sua vita, sappiamo che si è impegnata a vivere in linea con i propri principi (continuando a lavorare fino a tardi, tra l’altro! Instancabile e piena di passione a 103 anni!): non soltanto nel suo campo, ma anche nel sociale (fu accanto alle donne che lottavano per la regolamentazione dell’aborto, ad esempio). Fino alla fine, Rita ha rappresentato l’Italia forte e passionale, l’Italia della speranza, della cultura, l’Italia dov’era nata, l’Italia dalla quale era stata cacciata e nella quale era tornata da scienziata famosa e osannata. Nonostante in qualche momento non l’abbiano meritata, gli Italiani hanno avuto l’onore di avere una Rita Levi Montalcini, con i suoi 103 anni (che per uno spirito giovane non sono nulla!) e la caratteristica massa bianca di capelli, con i suoi abiti “vittoriani” e quell’atteggiamento da signora come non ce ne sono più.
L’abbiamo conosciuta così, noi trentenni di oggi. Una minuscola donna dai capelli bianchi che incuteva soggezione ma non paura, davanti alla quale restare in silenzio ad ascoltare cosa aveva da dire, certi che avrebbe detto qualcosa di saggio. Perciò, ieri, alla notizia della sua morte ci siamo sentiti tutti un po’ orfani.
Però, in fondo, vale la pena di lottare e pensare in grande, di non mollare la presa e di amare questo paese, nonostante tutto. “Bisogna dire ai giovani quanto sono stati fortunati a nascere in questo splendido Paese che è l’Italia”, diceva.
Perciò non perdete tempo ad arrabbiarvi, a parlare male del prossimo, a dare la colpa alla sfortuna, a desiderare cose che non sono importanti, ma studiate, leggete, amate, fidatevi della gente, ascoltate musica, guardate film e tra tutte queste cose, scegliete la vostra strada, che sia gloriosa o semplice, avventurosa o tranquilla, l’importante è che sia piena di passione. Perché un’altra Rita, chi sa, prima o poi nascerà. O potrebbe essere già nata, cari kiddies, ed essere lì tra di voi.