“Papi, posso prendere il tablet?”, mi chiede sempre più spesso Marta. Quando succede, nel risponderle, mi affido all’istinto. Secondo le più recenti ricerche sul rapporto tra bambini e tecnologie, Marta sarebbe una “nativa digitale”. Non lo dite alla mamma che si potrebbe offendere. Quando si tratta dei figli – si sa – le mamme sono molto ma molto permalose.
Se è vero che, appena nata, le sue foto sono state pubblicate su Facebook, ciò che la “fa smart” è, però, il rapido processo di apprendimento nell’utilizzo delle tecnologie informatiche. Quando ero piccolo io, telefonare senza ricorrere all’aiuto dei genitori era impossibile a meno che non si fosse dotati dell’inquietante dito di ET, personaggio per noi futuri papà foriero di fantascientifiche innovazioni. Il telefono era ancora a rotella e, nel caso del numero 9 (sì proprio l’ultimo, quello più in alto), era necessario ingaggiare una prova di forza contro la molla che, senza pietà per il mio più esile ditino, aveva il compito di far riavvolgere la primordiale tastiera.
L’attuale tecnologia “VoIP” che per le conversazioni telefoniche utilizza la connessione Internet rende impietoso il confronto. “Papi, passami le cuffie che devo skypare con Francesca”. Lancia il programma, compone digitalmente il numero e videochiama la sua cuginetta australiana. “Hello, Francesca. How are you?”, dice incoraggiata dalla mamma a formulare le sue prime parole apprese nella lingua più congeniale alla situazione.
Per Marta, l’ICT non ha segreti. Le capacità comunicative di tipo sensoriale di ET, ormai (e con buona pace del vecchio Spielberg), sono state superate dal “touchscreen”. Se sotto casa passa la “banda larga”, Marta accende il pc. Io sarei sceso in piazza a fare festa. Quanti byte sono passati tra il suo e il mio stato (inteso, come nei socialnetwork, quale traduzione digitale della condizione esistenziale)?
Router, scanner, mail e pronti “invio”. Recapitare l’ultimo disegno in un’altra città per mostrare al nonno i progressi artistici della piccola emula dell’espressionismo tedesco (soprattutto in termini cromatici e di deformazione della realtà) sembra facile come stare nella sala tele-trasporto dell’astronave Enterprise della famosa serie televisiva “Star Trek”, altro cult per noi futuri papà.
Se durante una conversazione telefonica di lavoro cade la linea, io mi attacco imbestialito al call center dell’operatore. Marta si attacca al “Wi-Fi free”. Grazie al Wireless (wi-fi, infrarossi e bluetooth), le nostre case oggi sono un avamposto della Base Alpha, residenza obbligata (e prefigurazione della moderna demotica) dei naufraghi stellari di un’altra vecchia serie televisiva dalla trama apocalittica, “Spazio 1999”.
La capacità di utilizzare e fare evolvere la tecnologia è uno dei fattori di straordinaria accelerazione del progresso della nostra società. In questo contesto, i bambini – se aiutati – sono in grado di vivere tali cambiamenti non subendoli (come forse è successo ai loro papà la cui interattività si fermava alle serie televisive) ma acquisendo la conoscenza esatta dei meccanismi di funzionamento e imparando a piegare i dispositivi informatici alle loro necessità cognitive. “Papi, adesso smetti di scrivere il tuo post e vieni a giocare con me sul tablet!”. Sarà che mi sta chiedendo delle coccole digitali?