Quella che voglio raccontarvi oggi è una storia.
Sì, una storia vera che è accaduta a Riotorto (LI), il paese che sorge vicino allo scavo di Vignale, dove ho la fortuna di lavorare da dieci anni.
È una storia che comincia come tutte, con “C’era una volta”.
C’era una volta un campo bellissimo disteso ai piedi di verdi colline; a guardarlo era un campo come tanti, verde in primavera, secco in estate e spoglio in inverno. Ma aveva qualcosa che lo distingueva dagli altri campi intorno al paese: alcuni dicevano che ogni tanto, passando di là, si sentivano delle parole venire su dalla terra.
“Fantasmi?” vi starete chiedendo.
Niente di tutto questo, nessuno aveva paura, perché tutti sapevano che quelle erano le parole di una storia.
O meglio, erano le voci di tante storie che erano rimaste prigioniere nella terra e che aspettavano di essere liberate quando, ogni anno, alla fine dell’estate, arrivavano gli archeologi.
Gli archeologi non vivevano a Riotorto, venivano da lontano proprio per scavare in quel campo.
Erano un gruppo di buffi personaggi, sempre un po’ sporchi, con grandi scarpe, pantaloni con le tasche piene di attrezzi e le guance arrossate dal sole. A volte li potevi incontrare anche al supermercato a fare la spesa o a mangiare un pezzo di pizza in paese.
Ma la cosa più divertente era andarli a trovare mentre lavoravano.
Loro erano molto contenti e raccontavano, ogni anno, un pezzo della lunga storia che il campo custodiva. Erano come degli interpreti o, se volete, degli investigatori, che ricostruivano come erano andate le cose attraverso gli oggetti e le tracce che erano rimaste nella terra.
Ogni anno la gente li aspettava per sentire il seguito della storia perché era una storia che riguardava tutti: parlava dei tempi antichi, di quando la laguna era così vicina che ci si poteva andare a piedi, di quando non c’erano le auto e la gente viaggiava lungo la via Aurelia con i carri o a cavallo.
Grandi e piccoli sentivano che quei tempi lontani erano il passato di tutti, qualcosa che univa, attraversando la notte dei tempi, nonni, bisnonni e nonni dei bisnonni… fino a risalire a duemila anni fa.
Le maestre della scuola elementare del paese accompagnavano spesso i bambini a trovare gli archeologi; nel campo si potevano vivere avventure fantastiche, conoscere tutti gli strumenti degli archeologi, parlare con loro, osservare, chiedere come giocavano i bambini di duemila anni fa e che cosa mangiavano, si poteva disegnare, giocare, scherzare e parlare di cose importanti, ascoltare ed essere ascoltati.
Quel campo era diventato, con il passare del tempo, un luogo in cui i bambini si sentivano a casa loro.
Una notte, mentre tutti dormivano e il campo era immerso nell’oscurità, qualcuno scavalcò la recinzione, si mise a fare tanti buchi nella terra e si portò via alcune parole delle storie sepolte.
L’indomani, quando gli archeologi arrivarono, si resero conto di quanto era accaduto: da quei buchi erano state rubate per sempre delle parole, senza le quali le storie non sarebbero state mai più complete.
“Come faremo adesso a ricostruire la storia del campo se ci mancano alcune parole?”
Come si fa tra amici, gli archeologi confidano ai bambini e alle maestre tutto il loro dispiacere: quest’anno la storia non sarà bella come gli altri anni… Qualcuno si è rubato le parole che da sole non significano niente, ma che tutte insieme fanno una storia.
“Che sciocco quel qualcuno! Chissà che cosa pensava di fare con le parole che si è portato via!”
“Nessuno deve toccare questo campo… Perché qui sotto ci sono le storie di tutti noi!”
I bambini si riuniscono e decidono di fare qualcosa: quel qualcuno non se la può passare liscia.
“Chi è venuto a rubare le parole non ha fatto un dispetto agli archeologi… ha rubato il nostro passato!”
Decidono di dargli una bella lezione, ma nel loro stile.
Niente vendetta, il signor qualcuno si dovrà sentire un verme.
E così tornano qualche giorno dopo dagli archeologi e spiegano loro che cosa pensano di fare.
Uno spot. Sì, proprio uno spot contro i ladri di storie, quelli che i grandi chiamano vandali.
Due giorni dopo la sceneggiatura, scritta integralmente da loro, è pronta, le parti sono state assegnati e i dialoghi imparati a memoria.
Adesso basta solo qualche ciack e… i ladri di storie saranno sistemati!
Agli archeologi non resta che mettere a disposizione una videocamera e un bravo regista.
E questo è il risultato:
Il video è un successo, lo vedono in tanti, ne parlano anche i giornali.
I bambini ne sono orgogliosi.
I grandi sono colpiti, a bocca aperta: “Ah, però…!”
Oggi quei bambini sono cresciuti, ma quel campo è rimasto nel loro cuore. Anche se adesso il pomeriggio ci sono gli allenamenti e più compiti da fare, anche se poi arriveranno il motorino o i primi batticuori, quello è il posto dove sentirsi a casa, dove stendersi nell’erba per guardare il cielo e scoprire di essere piccoli e insieme grandi protagonisti di una storia che viene da lontano.
Questo spot è il risultato più importante del progetto di archeologia pubblica “Uomini e Cose a Vignale”. Non ci sono scoperte archeologiche che valgano di più di una risposta così forte e così spontanea ad un atto di vandalismo.
Un risposta che abbiamo, nel tempo, costruito insieme, facendo un percorso di accoglienza, di condivisione e di ascolto reciproco; l’archeologia ha trasmesso ai bambini e risvegliato nei grandi il senso di appartenenza ad una comunità che si riconosce in un passato comune.
Che è un passato da conoscere, proteggere e, quando occorre, difendere.
E i bambini, in questo, ci hanno dato una grande lezione.
Elisabetta Giorgi