“Gioco di mano, gioco da villano”, recita un vecchissimo adagio.
E noi, si sa, da bambini un po’ villani lo siamo stati tutti. Ed alcuni, ad esser sinceri, continuano ad esserlo anche oggi…
In ogni caso, magari per qualche recondito e ancestrale lascito genetico, se c’era da tirar le mani, da giovincelli, lo si faceva. Senza problema alcuno, no. Purchè, s’intenda, non ci fosse lo sguardo arpiesco di qualche genitore affacciato alla finestra.
Si litigava senza astio, però. Qualche mossa poco aggraziata alla karate kid, due lacrimucce (più per orgoglio ferito che per vero dolore, comunque) ed amici come prima.
Senza considerare poi (o, meglio, consideriamolo, altrimenti non si spiegherebbe il senso di questo piccolo articolo) era il gioco stesso a pretendere che volassero schiaffi da ogni dove in ogni dove. Un gioco da villani per l’appunto. Un gioco chiamato Lo schiaffo del soldato.
Chi sta sotto si copre gli occhi con le mani e deve indovinare con quale mano il compagno lo abbia colpito.
Così Giulio Polluce, scrittore greco vissuto nel II sec. d.C, lo descriveva nel suo Onomasticon, fornendoci quindi un chiaro indizio sull’antichità di un tale gioco.
Andando ancora indietro di un bel po’ di secoli sappiamo che gli stessi Egizi erano soliti giocarci, come dimostrerebbe un disegno scoperto su una parete di una tomba risalente alla XI-XII dinastia.
Gli “schiaffi per gioco” sono sempre andati di moda a quanto pare.
Dai tempi di Polluce le regole del gioco sono però cambiate, ed il piacere di schiaffeggiare spetta oggi a molti più giocatori.
La vittima sacrificale altro non deve fare che dare le spalle ai propri aguzzini, coprendosi gli occhi con una mano ed offrendo il palmo dell’altra in sacrificio. L’intento è quello di identificare chi ha colpito, per costringerlo così a prenderne il posto. Da schiaffeggiatore a schiaffeggiato, ecco…
E quando accadeva a me, per la cronaca, mi pare fossi solito spostare tempestivamente l’attenzione su un altro gioco. Che so: palla avvelenata (con pallonate mica male, eh)?
Un po' troppa violenza repressa nella mia infanzia, mi sa.