Quest’anno per ripartire sono tornata alla questione del leggere. Ho così iniziato a chiedermi che tipo di lettore sono, quindi, a dire la verità, quest’anno sono ripartita da quello che è il leggere per me. Visto che prima di essere educatore a scuola e all’università, sono educatore a casa, con le mie figlie, pongo la questione del promuovere la lettura a casa.
Ho due figlie che sono come il giorno e la notte, come penso tutti i fratelli e sorelle che più o meno si somigliano in qualche giro di sopracciglio e naso e fronte, ma non si incontrano mai su nessun’altra cosa. La grande abita a casa della logica. Nel senso che due più due fa quattro, se ne levi uno fa tre, sempre, anche se stai contando le pecore per addormentarti o se già dormi. La piccola abita a casa del caso: due più due fa quattro, ma c’è caso che spesso faccia cinque. La grande ha una sua libreria, tra gli autori che ha letto a partire dai tredici anni ci sono John Green, Jennifer Niven, Alessandro D’Avenia, Paolo Giordano, David Nicholls, Christian Frascella, Frances Burnett. Se sente parlare di un libro che potrebbe piacerle, mi chiede di comprarlo e si attacca al libro come se dovesse leggerlo in tre giorni e in tre giorni lo legge.
La piccola vorrebbe bruciare i libri che ha letto per la scuola, tra cui Streghe e Danny campione del mondo di Dahl, e L’amico ritrovato di Uhlman.
Il suo libro preferito in assoluto è stato Gulliver illustrato da Chris Riddell – guardava sempre e solo le stesse figure, aveva due anni. Un’altra passione sono stati i Puffi.
Poi un giorno mi ha detto che i libri fanno schifo.
Dunque, perché leggere?
Sto preparando un insieme di cose per un corso dedicato agli insegnanti di secondaria inferiore, un corso di scrittura e lettura, e non si tratta ovviamente di promuovere niente, con gli insegnanti, oppure sì, oppure si tratta in effetti proprio di promuovere lettura e scrittura non come strumenti ma come risorse.
Per questo mi chiedo che tipo di lettore sono io, che cosa è per me leggere, e non trovo un’altra stringa di testo più veloce e vera di questa:
Perché scrivere? Perché desideri vedere le cose come stanno. […] sono convinta che l’elusiva sensazione che uno scrittore cerca di provocare nel lettore sia implicitamente politica:
Sì, le cose stanno proprio così.
Sì, mi sento proprio così.
Sì, questa cosa è fatta proprio così.
Sì, questa cosa funziona proprio così.
Zadie Smith parla dello scrivere che diventa un perché leggere, e in effetti che differenza c’è? Per me nessuna. Tra scrivere e leggere non c’è nessuna differenza. Una volta un caro amico, stavo passando un brutto momento, come si dice, mi chiese: ma se dovessi dire, tu, dove sei, dove ti trovi per stare bene, cosa diresti? Io avevo risposto: nei libri. Dove mi metto per riprendere l’equilibrio? Per non essere contaminata e mangiata dal non senso? Nei libri. Io, non so voi, ma a me dei giri di frase come questi (di Steinbeck) riconsegnano le chiavi di casa:
Questa lettera l’ha scritta mio fratello il giorno prima di morire. Questo è un cappello come si usava un tempo. Le piume… non c’è mai stata occasione di usarle. No, non c’è spazio. Come facciamo a vivere senza le nostre vite? Come sapremo di essere noi senza il nostro passato? No. Tocca lasciarlo qui. Bruciarlo. Stavano sedute e lo guardavano e lo bruciavano nei loro ricordi. Come sarà non conoscere la terra che c’è fuori dalla porta? Come sarà svegliarsi in piena notte e sapere… e sapere che il salice non c’è? Si può vivere senza il salice? No, no che non si può. Il salice sei tu. Il dolore su quel materasso lì – quel dolore atroce – sei tu.
Non si tratta di romanticismi o feticismi della parola, non si tratta di vivere cento vite, mi basta e mi avanza quella che sto vivendo, grazie, farei anche a meno di un pezzo, a dirla tutta, comunque, leggere non è vivere altre vite e arricchirsi dentro e essere più arguti, per me. Per me il leggere è stare ferma e capirci di nuovo qualcosa. Questa cosa è così? Sì, è proprio così, funziona così, e la voglio tenere (oppure buttare). Per questo dico che la scrittura è come la lettura, talvolta è stato lo scrivere che mi ha costretta a stare ferma per vedere le cose, dentro e fuori di me. Ho ringraziato a lungo e nel profondo i miei diari vecchi di anni, tante volte, ringraziando me stessa, la me stessa che allora aveva scritto e lasciato il segno di ciò che era, dandomi la capacità di vedermi nel presente in ciò che sono e in ciò che voglio essere.
Esserci, ovvero essere nella parola
Tutto il mio parlare e parlare del corpo nella relazione educativa ha la radice in questo scrivere e in questo leggere, perché se leggi per te e se scrivi per te, tu educatore, tu maestro, ci sei anche per l’altro e per il leggere e lo scrivere dell’altro.
Quindi adesso mi direte: e la figlia che dice che i libri fanno schifo?
Ecco, non le sto certo a dire che leggere le farà vivere cento vite.
Educo alla lettura e alla scrittura parlando.
Educo alla parola.
Educare alla parola è in assoluto la pratica più sfinente all’interno della relazione educativa, quella a cui non si può rinunciare mai, sia la parola in entrata o in uscita.
Ci sono diverse tappe nello sviluppo della capacità di parlare che diventa capacità di scrivere e capacità di leggere, tappe che non sono e non possono essere messe sullo stesso piano (e andrebbe poi distinta, nel leggere, quella che Maryanne Wolf chiama “lettura in profondità” attivata da circuiti neurali che vengono persi se i ragazzi passano più tempo online che sui libri), ma la fonte che alimenta qualunque processo di pensiero è la parola, il nostro parlare con i bambini e i ragazzi, il nostro fare in modo che i bambini e i ragazzi abbiano la possibilità e anche sentano la necessità di parlare con noi.
Se la parola è viva e gode di ottima salute, non può non trasformarsi in scrittura e in lettura in momenti diversi della vita.
Nella camera della figlia a cui fanno schifo i libri al momento ci sono e ci sono sempre stati molti diari, mappe, appunti, album da disegno, agende, liste di cose da fare, scalette (per i cambi vestiti dei saggi di danza, con suggerimenti a margine per non perdere tempo tra un cambio e l’altro): la scrittura è un’esigenza se la parola è qualcosa di vivo e complesso che mantiene aperta la ricerca del senso.
E questo esserci più nella scrittura che nella lettura, rispetto all’esserci più nella lettura che nella scrittura, è solo l’altro modo di esserci, cioè di essere nella parola.
[l’immagine di copertina è di Chris Riddel, da Jonathan Swift , Gulliver, raccontato da Martin Jenkins e illustrato da Chris Riddell, Emme Edizioni]