Un dolore sottile si allargava nel suo vecchio cuore al pensiero di perdere quello che nella sua vita scontrosa e solitaria aveva amato più del figlio che non aveva avuto (Vanna Cercenà, Le avventure di Riccardo Cuor di Cavallo, Lapis edizioni, pagina 183).
La nostra crescita non avviene mai nella direzione che immaginavamo, né i nostri genitori, spesso, sono quelli che inseguivamo da bambini e da adolescenti: quante volte ci siamo affannati a rincorrere un affetto, uno sguardo, per accorgerci poi, alla fine di un percorso, che l’amore che cercavamo aveva un altro volto, un’altra voce, un altro corpo rispetto al nostro sogno e che, forse, quell’amore ci era sempre stato accanto?
Sembrano racchiuse tra queste due rivelazioni le Avventure di Riccardo Cuor di Cavallo, di Vanna Cercenà, che Lapis edizioni porta felicemente di nuovo alla luce (è la ristampa del fuori catalogo Mai più crociate, del 2000). Riccardo è il figlio bastardo di Riccardo Cuor di Leone e di una contadina quindicenne dal cuore “gentile e dal volto delicato”, la quale non fa in tempo a rendersi conto del miracolo dell’amore e della vita, che muore, partorendo il figlio neonato tra le braccia di una zingara, madre elettiva e amorevole di un frutto non suo.
Riccardo, non ancor Cuor di Cavallo, nasce nell’Anno Domini 1177, in un campo di girovaghi addestratori di cavalli. Cresce libero, ignaro delle proprie origini, tra le fiere di Scozia e d’Inghilterra, educato alla conoscenza e alla cura dei cavalli dal padre adottivo (il primo dei padri “maestri” che incontrerà lungo la strada di ricerca del proprio genitore biologico).
Riccardo Cuor di Cavallo cresce all’ombra della Grande Storia, quella della Crociata dei Re, che lo trascina lontano dalla sua terra, ma vicino a se stesso: in Terra Santa Riccardo, senza mai rivelarsi al proprio padre fin lì inseguito, ha invece rivelata la propria vera vocazione di medico e scopre che la nostra terra è ogni luogo in cui ci sentiamo, per la prima volta, autentici. Sceglierà di restare, lui cristiano, in terra musulmana.
Difficile racchiudere Riccardo Cuor di Cavallo in una recensione, per quanto la storia picaresca, nell’atmosfera medievale che Vanna Cercenà sa ricreare con tanta efficacia, abbia una linearità e una freschezza narrativa da stato di grazia: i titoli dei capitoli, che rievocano vagamente i codici miniati, descrivono i passi dell’epopea con un incipit da cantastorie:
Dove si racconta come Riccardo seppe chi era suo padre
Dove si racconta come Riccardo Cuor di Cavallo scoprì che gli infedeli erano molto simili ai cristiani
Dove si racconta come Riccardo Cuor di Cavallo decise la sua strada
Gli eventi seguono Riccardo dall’infanzia all’adolescenza, dalla scoperta della propria identità, all’incontro con re Riccardo: ne diventa stalliere di fiducia, grazie alla capacità di capire gli animali e di curare il cavallo del re, Drago, suo fedele compagno sino alla fine della storia.
Tifiamo Riccardo, quando accetta il titolo “Cuor di Cavallo”, che gli dà per scherno un altro stalliere, perché Riccardo, in quel soprannome, riconosce la propria personalità e la propria storia; ci commuoviamo, quando Riccardo impara a dire molti addii e a trovare per ogni persona incontrata un luogo nel cuore, perché nella vita nulla è per sempre tranne la memoria; siamo con lui quando parte per la Terra Santa; lo sosteniamo, quando incontra mastro Tobia, che ne coglie l’intelligenza e gli insegna a leggere; sorridiamo quando conosce la Regina Berengaria, sorella e madre perché sa incoraggiarlo a seguire il proprio cuore; speriamo, quando conosce il medico musulmano Ramban, che lo rafforza nella sua decisione di divenire medico; tremiamo, quando Riccardo viene fatto prigioniero di un predone e scopre in lui solo un uomo, fragile come tutti i padri con una figlia malata; siamo complici, quando scorta la musulmana Nura, inatteso volto dell’amore; ci ricrediamo, quando conosce Saladino, diavolo per i cristiani, uomo saggio per l’esperienza che ne fa il nostro eroe.
Alcuni episodi intrigano, come la conoscenza tra Riccardo e la promessa sposa di Cuor di Leone, la regina Berengaria: la voce del popolo la diceva vecchia, brutta, stupida e Riccardo scopre che è lei il giovane, gentile e nobile cavaliere in cui, un giorno, si era imbattuto. Altri sconvolgono, suggerendo senza narrare, come il capitolo della battaglia di San Giovanni D’Acri: solo due parole alludono alla mattanza perpetrata dai Cristiani contro i civili musulmani:
Non potevamo tenere prigionieri.
La trama sembra voler giocare al gatto col topo, costruendo false attese, stando in bilico tra ciò che si dice e che si crede e l’esperienza diretta, che ricolloca il giudizio in una diversa dimensione: l’autrice conduce il giovane lettore sul sottile confine tra pregiudizio e realtà e anche in questa riflessione mai diretta, mai pedantesca, sta uno dei valori del romanzo.
Ma la storia di Riccardo Cuor di Cavallo è anche storia di formazione: il destino è scegliere la strada che più ci somiglia e che alle volte ci porta tanto lontano dagli orizzonti previsti.