Pierdomenico si pone una domanda: che faceva Capitan Uncino prima di essere Capitan Uncino? Beh, il bellissimo romanzo La vera storia di Capitan Uncino non risponde proprio a questa domanda, ma lo si scopreuna pagina alla votla… andiamo con ordine.
L’avventura nasce a causa di un intrigo di palazzo: Re Giorgio 4° non ha eredi e il figlio di una sua cortigiana potrebbe diventarlo, se non viene fatto sparire prima… questo figliolo verrà chiamato dalla madre James, e finirà in India dove crescerà senza essersi mai domandato nulla sulle sue origini. Solo una tensione, grossa e violenta, di quelle che prendono al cuore e piegano la storia al volere della propria anima: il mare.
James Fry scappa dalla sua casetta in india, dove abitava con la madre, a 13 anni e si imbarca sulla Hope, una nave che un’anno dopo farà naufragio. Ma non importa, perché è in mare che James sta bene, solo lì è felice, ed è così che il ragazzo cresce, incamerando libertà e curiosità.
Ma cosa rende un ragazzo un pirata?
Beh, molte cose: il naufragio in un’isola sconosciuta, una tigre impagliata, un coccodrillo gigantesco che ammazza uno dei suoi amici, un elefante con un campanellino legato alla zampa, dei selvaggi e molti, molti, molti libri. Il ragazzo e i suoi amici naufraghi vengono salvati da James Brooke, un tipetto che ve lo raccomando.
Sia quello storico (realmente esistito) sia quello letterario (altrettanto vero, ma meno mortale). Non voglio tirarla per le lunge, ma se avete letto Salgari, allora lo conoscete come nemico giurato di Sandokan. Con un maestro così James Fry cresce fino a diventare il secondo ufficiale di una nave delle navi di Brooke, la Stella del mattino. Il tutto, ovviametne, da scalzo.
Più le pagine scorrono e più capita di domandarsi: quand’è che finisce sull’Isola che non c’è? Quand’è che incontra Peter Pan? E quasi fino alla fine sembra che questa domanda riceverà una risposta.
Ad un certo punto però, mentre leggevo, ho capito: “Andrea, questa è la VERA storia di Capitan Uncino”. Ogni accadimento è un tassello di un puzzle che va smontato e ricostruito. Come un tangram, solo che questo romanzo per bambini è un “uomo in corsa” mentre la storia di Peter Pan è il vero quadrato.
Leggendo ci si innamora di questo personaggio, James Fry, che perde una mano e la rimpiazza con un uncino, che comanda la Stella del Mattino, che è fissato con un orologio e che gira scalzo, che ha paura dei coccodrilli ma è un temibile pirata di fama mondiale… poi la storia finisce e rimane solo il ricordo, di un bambino che è cresciuto da solo e da solo si è creato una fama di portata planetaria. E rimane una domanda: dov’è l’isola che non c’è?
Ora, Kidds, qui inizia la parte noiosa. Saltatela pure anche perché è un po’ spoiler
Una premessa. Ogni romanzo è un paradosso, dal momento che ogni narrazione è al contempo vera (in quanto effettivamente creata da un narratore) e finta (in quanto rimanda ad un altro – che a sua volta può essere stata vero o falso). Dare come titolo “La vera storia” di un personaggio che non è mai esistito, Capitan Uncino, ma che pure è esistito nella finta verità del racconto apre molte possibilità narrative. Espediente già visto altre volte il letteratura.
Giocare con il passato (o il futuro) dei personaggi è un passatempo che ha dapprima occupato le menti dei lettori, che fantasticando sui percorsi mai narrati dei beniamini dei loro romanzi si sono immaginati cosa li ha portati ad essere quello che sono, o quali altre avventure avrebbero vissuto. Poi sono arrivati gli scrittori che, solitamente, in maniera industriale hanno sfruttato il successo di alcuni personaggi per prolungarne la vita sulla carta. Nulla di sbagliato. Da anni anche i lettori e, per così dire, in fan, hanno iniziato a riappropriarsi attivamente dei loro immaginari, grazie alla produzione di fan fiction, non solo per la letteratura, non solo scrivendo (un esempio su tutti: Star Wars).
Ok, quindi che c’è da narrare, di vero, su Capitan Uncino? In che modo un autore può prendere la vita del personaggio e raccontarci qualcosa. Di interessante, si intende. Perché i gusti dei lettori, come i gusti degli umani mano a mano che crescono, si raffinano. E forse un semplice prequel di Peter Pan non avrebbe soddisfatto meningi più raffinate.
Baccalario decide di fare un salto di livello, che forse è l’unico modo per uscire dal paradosso di prima, a ben pensare. Pensiamo al paradosso del barbiere: in un villaggio vi è un solo barbiere, un uomo ben sbarbato, che rade tutti e solo gli uomini che non si radono da soli. Il barbiere si rade da solo? Ecco il problema: se si rade da solo, allora viene contraddetta l’ipotesi “rade chi non si rade da solo”, se non si rade da solo, allora dovrebbe radersi, appunto perché “rade chi non si rade”…
Come la risolviamo, pragmaticamente? Ci inventiamo un omino da un altro villaggio che va a fare la barba al barbiere. Allo stesso modo, per narrare la vera storia di Capitan Uncino, devi fare un salto e, sostanzialmente, arrivare a raccontare la storia di un personaggio storiacamente inseribile nella secondo metà del 1800, James Fry, che poi diventa la fonte di ispirazione da cui James M. Barrie trae spunto per inventarsi il Capitano. GENIALE! (Un po’ Big Fish, se volete, ma geniale!)
Ora, una volta costruito tutto questo (relativamente facile sia a dirsi che a farsi, ok, ma degno di nota e pregievole) allora siamo su di un altro livello, un livello meta o secondario, in cui molte delle cose che accadono sono ombre di quello che accade nel livello inferiore, quello di Peter Pan, per intendersi.
Così, dunque, un campanellino che tintinna legato alla gamba di un elefante è l’eco tridimensionale della fatina amica di Peter, oppure un intrigo di corte tramuta la Gran Bretagna in un isola che non c’è. E qui non serve spiegare altro.
Il gioco di rimandi e ammiccamenti è ben orchestrato, di fatto senza stonatura. Il romanzo è pieno di un citazionismo educato e narrativamente giustificato, in quanto, di fatto è grazie alle avvenute di James Fry che abbiamo lo stimolo diegetico per la creazione per l’avventura di Peter Pan e Capitan Uncino.
Quindi il finto Capitan Uncino deriva dal vero James Fry che ha lasciato la sua impronta anche per Peter Pan? Sì. Perché Peter Pan tanto James Fry quando Capitan Uncino… Ma c’è molto di più. La madre persa e il senso di ricerca, di abnegazione, di apprendistato, paura e (perché no?) assalto di altre navi, fanno di James Fry un Anakin Skywalker ante-litteram. Un paragone troppo tirato… deciderà il lettore.
Mi basta concludere dicendo che è un bel libro, che parla di pirati ma non solo, e fa sognare tridimensionalmente anche chi bambino non lo è più. WOW!