«Oggi non ci sono proprio.»
Capita a tutti quelli che lavorano di sentirsi così, ma se capita a un attore mentre recita, a un prete mentre dice messa, a un medico in sala operatoria, beh, è un po' più grave.
A scuola succede spesso (anche al Prof Daniel Pennac) e se pure rimproveriamo i nostri alunni la colpa non è loro.
Stamattina li vedo davanti a me ma loro neppure ci sono. Li ho persi, come un pilota al timone con troppe ore di sonno arretrato o forse annoiato, o forse solo troppo certo della rotta.
Il dramma dell'insegnante inizia da quel momento: quando salpa per la stessa crociera ma i passeggeri sono cambiati. Non senti le loro voci, non riesci a farli viaggiare con te, ballano da soli, si divertono ma tu non c'entri.
E non sai niente di loro.
Un giorno ho dato un tema: «La scuola che vorresti». Sia mai che i ragazzi mi diano degli spunti.
Filippo ha scritto:
«Vorrei una scuola con l'intervallo lungo come le lezioni e le lezioni lunghe come l'intervallo.»
Punto. Sconforto. Avevo sbagliato io, la persona e il destinatario: un tema deve essere indirizzato ai prof e il titolo questo: «Il prof che vorrei.» E l'altro a voi cari studenti: «L'allievo che vorrei essere».
Da questa somma viene la scuola: non da quello che voglio da voi o che voi volete da me ma da quello che vogliamo essere insieme.
In tempi di crisi non si pensa alla scuola che vogliamo essere, ma c'è stato un tempo in cui qualcuno l'ha sognato con grande passione.
Erano gli anni Settanta del Diario di un maestro, il primo reality della TV italiana. É la storia di un maestro che insegna storia nella sezione rifiuto della scuola di una borgata romana trasformando i suoi ragazzini in reporter di strada, diventando grammatica per gli alunni più ostili alla grammatica, aprendo la pancia all'insostenibile leggerezza delle particelle pronominali, tirandole fuori dal «non ci capisco nulla» e «me ne sbatto» dello studente più arreso.
Poiché è vero quello che scrive Daniel Pennac nel Diario di scuola: voi, cari studenti,
siete la materia di tutte le nostre materie. Siete fatti di parole, tutti quanti voi, intessuti di grammatica, tutti pieni di discorsi, anche i più silenziosi o i meno attrezzati di vocabolario, abitati dalle vostre rappresentazioni del mondo,
pieni di letteratura.
Arrivederci, ragazzi.
Vostra Favella Stanca