Una notte, mentre i miei genitori dormivano, a piccoli, silenziosi passi entrai in salotto. Sullo scaffale più in alto della libreria, campeggiavano tre grandi volumi. Salii su una scala, mi protesi sulla punta dei piedi e riuscii ad acciuffare il primo dei tre. Sulla copertina rossa, a lettere d’oro, era impressa la scritta: “Divina Commedia – Inferno” di Dante Alighieri… Restai in piedi e, tutto tremante, sussurrai i versi introduttivi del Proemio… Chiusi il libro e gli occhi. Trattenni il respiro. Tutto tacque e ancora tace nel mio ricordo. Come l’attimo in cui comincia il viaggio, l’istante in cui apriamo gli occhi sulla vita. Un’antica meraviglia che sempre si rinnova.
C’è stato un momento nella vita di ciascuno di noi in cui per la prima volta abbiamo dovuto confrontarci con l’opera del sommo poeta: la Divina Commedia di Dante Alighieri.
Che sia avvenuto sui banchi di scuola o ascoltando distrattamente dei versi in televisione o origliando le conversazioni dotte degli adulti, le circostanze di quell’incontro hanno probabilmente condizionato il nostro personale rapporto con il poeta fiorentino, gettando i semi di un amore incondizionato o di un odio smisurato convertitisi, poi con gli anni, in un’affezione solida e duratura o in una riprovazione ferma e consapevole.
In entrambi i casi, tuttavia, è difficile negare la sensazione di irraggiungibile perfezione e sacralità che quei versi ci hanno suscitato, lasciando nella memoria un’eco difficile da cancellare.
È attorno a quel primo incontro, avvenuto a soli nove anni, che lo scrittore Daniele Aristarco, con la complicità dell’illustratore Marco Somà, intesse la sua personale versione del capolavoro dantesco nell’albo La Divina Commedia. Il primo passo nella selva oscura, Einaudi Ragazzi, una delle numerose pubblicazioni con cui, in quest’anno in cui ricorre il settecentenario dalla morte di Dante, molte case editrici hanno voluto omaggiare il grande poeta.
Per definire ciò che questo albo è, occorre partire dal dire ciò che esso non è. Non è una riduzione per bambini e ragazzi, non è un saggio critico, non è una parafrasi, non è una rivisitazione edulcorata di alcuni degli episodi chiave del libro dantesco. L’albo nasce semmai da una personale suggestione legata, appunto, al ricordo delle sensazioni e delle domande che una prima e incerta lettura delle terzine dantesche destò nella mente dell’autore.
Perché quell’opera si intitolava Commedia? Davvero Dante aveva compiuto un viaggio nell’aldilà? Per quale ragione? E che tipo di bene era infine riuscito a trovare? Com’era fatto il volto di Dio?
Quelle prime domande non furono dimenticate, semmai alimentarono il desiderio di conoscere che solo uno studio analitico e maturo dell’opera ha poi potuto saziare.
E sono proprio alcune delle risposte infine trovate a quelle domande infantili che Daniele Aristarco offre al lettore, affinché possa anch’egli appassionarsi alla lettura della Divina Commedia e in essa ravvisare altri interrogativi e il bisogno di altre risposte.
In viaggio con Dante
L’albo può definirsi allora come una cassetta degli attrezzi indispensabili per avventurarsi nell’oltretomba dantesco, o meglio, come un’introduzione al viaggio, non solo quello letterario alla scoperta dell’Autore e della sua opera, ma anche quello esistenziale all’interno di noi stessi.
Che cos’è infatti il discendere di Dante agli Inferi e poi risalire fino al Paradiso se non la metafora del percorso tortuoso, fatto di luci ed ombre, di tentennamenti, tentazioni e pentimenti, che ogni uomo ed ogni donna traccia nel corso della sua vita fuori e dentro di sé?
Non sembrino questi temi troppo aulici e incomprensibili per la mente di un bambino, perché – come fa bene Aristarco a ribadirlo –, quella selva oscura altro non è che il bosco delle fiabe che tutti prima o poi incontriamo sin da piccolissimi, fuori e dentro le pagine di un libro, così come Beatrice – nell’immaginario dantesco colei che incarna l’Amore che solo rende possibile il raggiungimento della Verità –, sta a rappresentare il bene che vince sul male.
Una trasfigurazione in chiave fiabesca delle atmosfere dantesche è d’altronde ben percepibile nelle illustrazioni di Marco Somà che, fedele alla sua cifra stilistica e al suo costante guardare alla natura quale primaria fonte d’ispirazione, trasforma i personaggi della Commedia in figure animali antropomorfizzate. Sicché Dante assume le sembianze di un levriero e Virgilio, sua stimata guida, quella di una volpe. E poi cervi, orse, cavalli, uccelli, renne… un universo animale assai variegato e dai tratti terrificanti o bonari, che si muove sullo sfondo di paesaggi onirici, ora cupi e desolati, quelli infernali, ora celesti e luminosi, quelli paradisiaci, in una progressione cromatica che si avverte avanzando nelle pagine e che vira dal rosso e blu intensi iniziali al celeste e al giallo della luce divina finali.
Una duplice narrazione
Ciascuna delle doppie tavole illustrate è dedicata ad uno specifico episodio dantesco evocato dalla terzina riportata, in basso a destra, all’interno di un cartiglio. Ne consegue una duplice narrazione, fatta di parole e immagini – ciascuna con una sua logica e un ritmo interni – che si fondono e intersecano nello spazio della doppia pagina, creando un linguaggio narrativo potente ed evocativo.
Quali emozioni, sensazioni o associazioni di pensieri un tale libro possa risvegliare nella mente di un giovane lettore, che non si sia mai prima imbattuto in Dante, è difficile immaginarlo, o forse no.
Se è vero quanto dice Kveta Pacovská, ovvero che «l’albo illustrato è la prima galleria d’arte che il bambino visita», sfogliare le pagine di questo libro è un po’ come avanzare di sala in sala in un museo d’arte, lasciandosi incantare e scuotere dalle opere alle pareti ed emozionare dalle parole che risuonano nell’aria come un sottofondo musicale. Di quelle parole è probabile che il senso non verrà fino in fondo compreso, come oscure resteranno le ragioni che hanno spinto un uomo, un poeta, a scendere nell’aldilà e a mescolarsi con i morti. Ma che importa? “Leggere Dante è come indossare un vestito elegante”, come ammantarsi di una luce che ci fa brillare, sentire più vivi, più forti, più consapevoli, una luce che a distanza di settecento anni non smette di abbagliarci.
Un giorno, quando ciascuno di quei giovani lettori ormai adulti avvertirà l’esigenza o sentirà il dovere di misurarsi con l’opera di Dante, forse partirà da qui, dalla poesia di questo prezioso albo.