Minaccioso. Unavoltadiventatiadulti.
Ma d’altronde, come dare torto al Peter? L’Isola Che Non C’è disneyana (ma anche quella di James Matthew Barrie) è un tale universo sottosopra che nemmeno nelle più fervide fantasie carrolliane: il potere è in mano ai bambini; Kids tra i pellerossa, Kids nel sottobosco, Kids in visita da Londra, Kids ovunque. E Kids, naturalmente, i Bimbi Sperduti, l’esercito minorenne dell’altrettanto minorenne condottiero in calzamaglia Peter Pan.
E gli adulti? Ai maggiorenni viene riservato un piccolo spazio mobile in legno al largo delle coste dell’Isola: una nave, precisamente. Una nave pirata. Nemmeno la terra ferma si meritano questi “grandi”. Un manipolo di rozzi filibustieri tenuti in pugno da un gruppo di vivaci ragazzini armati di cerbottana, travestiti da orsetti e procioni.
Niente veto sullo zucchero prima di andare a letto, niente genitori che vi impongono di lavarvi i denti prima di andare a letto, ma soprattutto nessuna ora prestabilita entro la quale andare a letto.
Altro che Isola Che Non C’è: qui abbiamo sbagliato fiaba e siamo giunti nel Paese dei Balocchi, accidenti. Una pacchia!
Anche perchè i Bimbi Sperduti di “sperduto” non hanno proprio niente, nomignolo a parte. La loro casa nell’albero (più che sull’albero) è perfettamente organizzata e funzionante che neanche la modernissima residenza computerizzata di PAT, La Mamma Virtuale: i cattivi, quelli brutti, quelli che non si lavano, sono sulla nave. E’ Spugna. E’ Capitano Uncino.
Forse, prima che arrivasse la materna figura di Wendy, il muro di corteccia contava qualche ditata colorata in più, e c’erano un paio di zampine di peluche da ricucire sui pigiamini zoomorfi, ma nel complesso tutto procedeva a gonfie vele per Peter Pan e compagni.
Il regime bimbocratico adottato sull’ Isola Che Non C’è funzionava a meraviglia. Sfido io a volersene andare per diventare adulti.
Eppure non tutte le società minorili funzionano così bene. Ci sono Kids nella letteratura che la bussola l’hanno smarrita davvero. E non c’è nessuna seconda-stella-a-destra a dare le coordinate. Sperduti.
Ralph, Piggy, Jack e tutti gli altri naufraghi ragazzini de Il Signore Delle Mosche – celebre romanzo per ragazzi (ma non solo) del vincitore del Premio Nobel, William Golding – non sono certo bravi come Robinson Crusoe quando si tratta di ricostruirsi una casa sulla sabbia di una non meglio identificata isola, sperduta in un non meglio identificato atollo di un non meglio identificato mare, sulle cui rive approdano in seguito ad un catastrofico incidente aereo. E non solo per mancate capacità di falegnameria.
Golding, di solida struttura etica e morale cattolica, scelse dei bambini come protagonisti a dimostrazione di quanto l’essere umano primitivo, ossia ancora intoccato da tutte quelle condizioni e convenzioni imposte dal vivere-insieme-organizzato, dalla comunità, non sia intriso nè di purezza, nè di naturale buon senso. L’uomo primitivo è una bestia. E’ la Bestia. Quella vera. Non il mostro che popola gli incubi di un gruppo di ragazzini spaventati. Non la testa di maiale trafitta da un bastone e circondata da mosche che Simon trova nella foresta.
Quale cavia migliore del cucciolo d’uomo per un esperimento socio-psicologico tanto crudele? Eppure io sono convinta che tanti adulti perfettamente integrati nella società, messi alla prova, non avrebbero saputo fare di meglio.
E parlo della nostra società. Quella che ha messo il progresso tanto in alto in agenda da essersi dimenticata dei tempi che ad esso occorrono. I tempi della Natura. Ma anche i tempi dell’uomo. Quella che cerca ogni giorno di insegnarci ad avanzare per i demeriti altrui, e non per meriti nostri; perchè è facile vincere i cento metri, quando tutti i tuoi avversari corrono con le stampelle: soprattutto se i concorrenti li hai azzoppati tu e nessuno ti ha visto.
Sarà Signor Golding, ma questa Terra che muore a me sembra più l’isola di Battle Royale che una struttura comunitaria gerarchica perfettamente organizzata.
Eppure non sono pessimista, Kiddies. Non sono pessimista io e non dovete esserlo voi. Perchè reazione è azione e non è mai troppo tardi. Non è mai troppo tardi per costruire la nostra Isola Che Non C’è: basta una cartaccia buttata nel contenitore giusto, una bicicletta, un invito a giocare con voi pure al compagno di banco cicciotto che vi sta un po’ antipatico. Un briciolo di consapevolezza sociale, e voglia di stare insieme, che alle volte è proprio l’Isolamento Diffidente, sindrome del Ventunesimo Secolo, a tirare fuori il peggio di noi.
Non è buonismo, ormai è questione di sopravvivenza. Oltre che, personalmente, desiderio. Un pianeta migliore per noi e per gli altri. Che sulla terra siamo tanti, siamo miliardi.
E nessun uomo è un’isola, nemmeno se vi ci naufraga sopra.