«Io e Zucchero stiamo insieme da un anno, due mesi e quattro giorni. E non lo sopporto più.»
«Isabella è la mia ragazza, la persona che amo, con cui condivido la mia vita. Con cui ho quasi fatto l’amore. Quasi.»
(Sara D’Amario, Kikka. Resisterle è impossibile, Fanucci Editore 2014)
Isabella, alias la Serpentessa, ha occhi gialli e un puzzle con un punto interrogativo disegnato sulla nuca, a ricordare, a chi la percorre con lo sguardo, quella domanda invisibile tatuata sulla pelle: Qual è il mio posto nel mondo?
La Serpentessa ha sedici anni, divora romanzi nascosti sulle ginocchia durante le ore di lezioni, un tempo classici, ora storie di vampiri perché ha bisogno di sollevarsi da se stessa.
La Serpentessa forse più che tentare respinge, un istrice sotto le parvenze di un serpente che tra le spire ha stretto Sirio, dolce come lo Zucchero, esattamente un anno, due mesi e quattro giorni fa. O forse è lui che le ha dato albergo nel suo cuore XXL.
Sirio, alias Zucchero, ha sedici anni e una famiglia allargata che dopo anni ha ritrovato il padre, naufrago nella vita, silenzioso e vago come una stella: la madre l’ha riaccolto e Zucchero impara che «l’amore ha tante sfumature, alcune insondabili e incomprensibili».
Zucchero avvolge la fragile dolcezza della propria anima di ragazzo, con un padre a metà, in volute di grasso che prima proteggono il vuoto del cuore come una coperta calda e poi diventano un’armatura in cui, a furia di difendersi, si resta prigionieri: il suo corpo grasso, che non è un problema per la Serpentessa, lo è per lui, che la ama e che sente che nella relazione con lei, che attraversa necessariamente anche il corpo, c’è quell’enorme soffice coltre di sé che un poco lo imbarazza (ma non troppo, perché Zucchero e la Serpentessa non sono tipi da soggiogarsi alle mode: liberi interiormente da ogni tirannia dell’apparenza, inquieti ma capaci di rispettare e rispettarsi).
Tra loro irrompono, come una scarica d’elettricità in un cielo ingrigito, due semidei, due gemelli tanto belli quanto ambigui, Achille e Kikka, che dietro la forma di bellezza e virtù (atletici, biondi, vincenti), nascondono la solitudine amara di due ragazzi abbandonati l’una al proprio male di vivere, l’altro al vuoto del mito fugace del successo sportivo.
Sarà a causa loro e grazie a loro che Zucchero e la Serpentessa, attraversando la prova della separazione, impareranno a conoscere chi sono, vivranno l’iniziazione al sesso e capiranno ciò che non vogliono che sia l’amore completo: né sesso come consumo e alienazione dall’angoscia né sesso come gratitudine, senza passione.
A dispetto del titolo e dell’immagine di copertina, da cui ci sfidano gli occhi maliardi di una biondina, Kikka non è un romanzo rosa di amore e passioni: è la storia prima di tutto di Isabella e Sirio, che tornano a raccontarsi, a due voci, nell’anno della loro terza liceo e dei loro sedici anni, quando lo scontento (della Serpentessa) avvelena il primo amore, nell’età bastarda in cui non siamo in nessun posto al mondo e allo stesso tempo ci sentiamo a casa in ogni luogo, l’età in cui ci protendiamo sul futuro pieni di energie confuse ma senza reti, in cui l’amore non ci basta, in cui scopriamo il sesso e anche quello non ci basta: «cerchiamo risposte, vogliamo capire, sentire. Non conosciamo ancora la strada giusta per arrivare al corpo di qualcun altro, ci sbagliamo quasi tutti…».
Non è una storia di adolescenti: per dirla con Sirio, giovani adulti è un’etichetta come le altre, si vive seguendo la vita e ogni tanto perdendosi per la tangente. È la storia anche della fragilità degli adulti, che non ci sono maestri oppure lo diventano paradossalmente, coi propri errori e la propria umanità.
Ma è soprattutto la storia di due giovani belli (e non intendiamo Achille e Kikka) e dei loro amici, che sanno difendersi dalle tentazioni distruttrici e dal divertimento vuoto: due belli e giovani come tanti ce ne sono, che non guadagnano la ribalta dei giornali ma a cui Sara D’Amario rende onore in duecentonovantasette, piacevolissime pagine, fresche e vere.