Benritrovati kids! Oggi vi propongo un’intervista a Giuliano Volpe, archeologo, professore universitario e attuale Rettore dell’Università di Foggia, nonché mio maestro. Non aggiungo altro e lascio spazio alle sue parole…
– A che età ha deciso di fare l’archeologo da grande e per quale ragione?
La mia decisione è stata alquanto tardiva. Da bambino o da ragazzo non ci pensavo, non avevo questa passione. La mia decisione di iscrivermi a Lettere classiche è maturata al liceo classico, anche grazie alla positiva influenza di un professore, uno di quei docenti che ti aiuta ad allargare gli orizzonti, a capire veramente cosa ti interessa e in cosa impegnarti. La scoperta dell’archeologia è avvenuta all’Università, dove avevo deciso di studiare storia antica. Avevo interesse per la storia economica e sociale. Una conferenza di un grande archeologo, Andrea Carandini, sugli scavi della villa di Settefinestre è stata una vera illuminazione. Decisi così di partecipare proprio a quello scavo e capii che quello era il mestiere che avrei voluto fare per tutta la vita; da allora mi sono gettato a capofitto nello studio, preferendo lo scavo e l’attività sul campo e sviluppando quel mio interesse per gli aspetti economici e sociali, per il mondo del lavoro, per il commercio antico, per le condizioni materiali di vita, avendo capito che con la ricerca archeologica era possibile una cosa straordinaria: la costruzione di nuove fonti per la storia.
– Che tipo di lettore era da ragazzino, che libri preferiva e quali sono stati i primi testi di storia e/o archeologia che l’hanno particolarmente incuriosita?
Vengo da una famiglia molto modesta, non l’ho mai nascosto e ne vado fiero. I miei genitori avevano un’istruzione elementare ed hanno sempre lavorato duramente. Sono l’unico laureato tra i cinque figli, perché ho sempre amato lo studio. Ma a casa non c’erano praticamente libri, tranne qualche volume del Reader’s digest, che i ragazzi di oggi ignorano: raccolte popolari di racconti e stralci di romanzi. Frequentavo però assiduamente la biblioteca comunale. È stata la scuola, grazie a bravissimi professori, a farmi scoprire il piacere e l’importanza della lettura. Anche per questo sono grato a loro e sono un grande difensore della scuola pubblica. Quanto alla storia, inizialmente avevo interesse soprattutto per gli avvenimenti del Novecento, per la storia contemporanea e la politica. L’antichità, come ho detto, l’ho scoperta dopo, al liceo classico.
– Per diversi anni ha insegnato all’Università di Bari prima e ancora oggi all’Università di Foggia “Metodologia della ricerca archeologica” e “Archeologia e Storia dell’Arte tardoantica”. Può provare a spiegare ai ragazzi qual è l’oggetto di studio di queste due discipline?
La “metodologia” è importante per insegnare come si fa correttamente ricerca archeologica, quali tecniche e tecnologie è possibile utilizzare, quali domande è possibile porre agli oggetti del passato: oggetti muti che, se ben interrogati, possono raccontare moltissimo delle persone che li hanno prodotti e li hanno utilizzati secoli o millenni fa. Ovviamente ha molta importanza in questo tipo d’insegnamento l’attività in laboratorio, a diretto contatto con i reperti, e sul campo, con lo scavo archeologico, le prospezioni, il rinvenimento di nuovi siti e di manufatti. È un po’ come nel caso di uno studente di medicina che oltre a conoscere l’anatomia umana o le varie malattie deve imparare direttamente come si cura un malato o come si effettua un intervento chirurgico.
Invece, per quel che riguarda lo studio della Tarda Antichità l’interesse sta nell’approfondire un periodo storico, fino a poco tempo fa molto trascurato, di straordinario interesse ed anche di grande ‘modernità’: si tratta di capire come e perché è finito il grande Impero Romano, come si è passati da un periodo di grande sviluppo economico e civile ad una drammatica crisi e poi ai secoli dell’Alto Medioevo. È un periodo assai complesso, che vide l’affermarsi del cristianesimo, che conobbe grandi migrazioni di popoli, le invasioni barbariche, lo scontro e l’integrazione di civiltà diverse, l’affermarsi di nuovi modi di vita.
– Ha condotto numerosi cantieri di scavo terrestri e subacquei. A quale di essi è particolarmente affezionato e dove preferisce scavare, sulla terra o sott’acqua?
Non è facile dare una preferenza, perché sono esperienze simili e al tempo stesso diversissime. Dal punto di vista metodologico rispondono alle stesse regole, come ad esempio quelle della stratigrafia. Ma dal punto di vista delle tecniche, degli strumenti impiegati, delle procedure, dell’organizzazione del lavoro e, soprattutto, del contesto nel quale si opera, sono molto diversi. Faccio solo un esempio: su uno scavo terrestre è possibile seguire tutte le operazioni di scavo – facciamo il caso di una tomba – da parte dello stesso archeologo nel corso di uno o più giorni; sott’acqua invece, a seconda della profondità, si può operare solo per un tempo limitato, a volte pochi minuti, poi si deve passare la mano ad un altro archeologo che prosegue il lavoro. In entrambi i casi però il mestiere dell’archeologo è un lavoro di equipe, un lavoro che associa attività fisica a elaborazione intellettuale, riflessione e creatività. Ma non mi sottraggo alla domanda: lo scavo subacqueo, soprattutto se effettuato nelle acque del Mediterraneo e se riguarda relitti di navi affondate molti secoli fa con il loro carico, ha certamente un grande fascino, anche per il piacere di una esperienza di vita comunitaria su una imbarcazione, per il mare, per il caldo. Per onestà devo precisare che capita anche di operare in acque fredde e torbide, in condizioni assai difficili e per nulla piacevoli.
– Negli ultimi anni è stato a capo, in qualità di Rettore, dell’Università di Foggia. Tra il mestiere di Rettore e quello di archeologo quale le piace di più?
Anche in questo caso non è facile dare una preferenza. Sono due cose diversissime, anche se ho cercato di portare nel mio lavoro di Rettore qualcosa della mia esperienza di archeologo, scegliendo di essere un Rettore militante, attivo sul campo, concreto, non un burocrate. Governare una Università significa contribuire a costruire luoghi di formazione, di studio, di ricerca, realizzare strutture più adeguate, migliorare i servizi per gli studenti, collaborare con le imprese, far crescere il livello culturale ed economico di una comunità. Ma la mia passione principale resta lo studio e la ricerca, che ho cercato di non abbandonare anche in questi anni, per cui sono felice di tornare presto ai miei scavi e al lavoro con i miei collaboratori e i miei studenti.
– Non so se oggi sia il caso di consigliare ai ragazzi di scegliere per il loro futuro la professione di archeologo; la situazione dei beni culturali in Italia e di quanti attorno ad essi lavorano è molto critica e desolante. Certo, a mio parere, c’è un enorme bisogno di fare corretta divulgazione scientifica, di raccontare la storia dei luoghi in cui viviamo, di andare nelle scuole e far capire ai più piccoli perché è fondamentale il nostro mestiere e, perché no, portarli nelle aule delle Università e far vedere loro come facciamo ricerca. Cosa ne pensa a tal proposito? Cosa si sente di dire a un ragazzino che abbia scarso interesse per la storia antica e la scienza?
La condizione dei beni culturali e del paesaggio nel nostro paese è effettivamente desolante: scarsi finanziamenti, poco interesse da parte dei governi, un ministero in agonia, scarso personale orami demotivato oltre che anziano, e, di conseguenza siti distrutti, scavi clandestini, cementificazione del territorio, musei, biblioteche e archivi in crisi. Eppure non riesco a rassegnarmi al pessimismo. L’Italia ha la fortuna, ed anche la responsabilità, di possedere un enorme patrimonio culturale, è nota e apprezzata nel mondo intero per la sua cultura, per i suoi monumenti, per i siti archeologici. Sono convinto che prima o poi si capirà il valore strategico di questo patrimonio per il futuro del nostro Paese e si cambierà rotta. Ma questo sarà possibile solo quando la società italiana, i giovani, i ragazzi, capiranno che questo patrimonio è un bene comune di cui avere cura, da valorizzare. E poi, il mestiere dell’archeologo resta un mestiere straordinario, utile alla società perché contribuisce a far conoscere a tutti come si viveva secoli fa in un territorio, e inoltre può contribuire alla crescita culturale, civile ed anche economica di una comunità, alla pianificazione più corretta ed equilibrata di un territorio.
– Dopo tanti scavi, studi, convegni, lezioni, libri, incontri… cosa le ha insegnato davvero questo mestiere e quanto questo insegnamento è stato importante nella sua vita?
Mi ha insegnato il piacere della scoperta, della conoscenza, dell’interpretazione di tracce, di indizi, anche di cose e di fatti a prima vista incomprensibili, il piacere del lavoro insieme agli altri, il piacere del racconto, della comunicazione, della spiegazione di ciò che si è scoperto o si è capito ad un bambino, ad uno studente, ad un cittadino curioso ed interessato, ad un anziano, ad un turista straniero, ed anche il piacere di sentirsi utile agli altri con un lavoro di indagine nella memoria collettiva.