Il signor Risù, quando è arrabbiato o triste, si rompe in mille piccolissimi pezzi. Chicchi della sua rabbia cadono sul pavimento con un rumore simile a quello della pioggia che batte sui tronchi dei faggi, si infilano tra le piastrelle e lì rimangono, per molto molto tempo. Si arrabbia spesso, il signor Risù, perché molte volte gli sembra che la vita non vada come lui vorrebbe, oppure perché la mattina un'auto gli ha schizzato di fango le scarpe nuove, o ancora perché nella sua edicola di fiducia hanno finito i pacchetti delle sue figurine preferite (le colleziona ancora, è rimasto l'unico).
Il signor Risù non pensa che arrabbiarsi sia una perdita di tempo, anzi. Quando gli succede, immagina di essere un piccolo vulcano sull'orlo di un'eruzione, una nube nera e gonfia carica di tempesta, un vento velocissimo e pungente che, per dispetto e per insegnare loro che avevano ragione le nonne a dire che ci vuole la canottiera di lana, si infila sotto i maglioni dei bambini che tornano a casa da scuola. La rabbia, lui crede, non è neanche una cosa del tutto negativa: è un po' come il cioccolato, se ne mangi tanto ti viene il mal di pancia, ma se lo gusti poco alla volta ti rende migliore la giornata.
Il problema sono gli altri, che di fronte agli attacchi di rabbia del signor Risù non sanno come reagire, perdono le parole, alzano le mani al cielo, borbottano "ma guarda un po', ma guarda te!" e "non è questo il modo di comportarsi!". Non si arrabbiano mai, loro, perché non ne hanno motivo: si fanno andare sempre bene le cose così come sono, e la sera quando poggiano la testa sul cuscino ringraziano qualcuno per averli traghettati anche questa volta, senza infamia e senza lode, verso la fine di questa giornata, Che da una diventano due e da due poi tre e da tre diecimila, un milione, un miliardo di miliardi di giornate in cui non succede niente, perché provare a cambiare qualcosa è già di per sé una fatica. Figuriamoci arrabbiarsi.