Quando ho preso in mano questo libro la prima volta sono rimasta ad osservare la copertina per qualche minuto. Ogni copertina ci dice qualcosa del libro: cerca di darci un’idea vaga del mondo che stiamo per esplorare.
Nella copertina de Il giardino di Lontan Town scritto da Patrizia Rinaldi, edito da Edizioni Lapis e illustrato da Francesca D’Ottavi, vediamo degli animali. A una prima occhiata sembrano normalissimi, ma se osserviamo con attenzione inizieremo a notare certi particolari assai strani: indossano tutti dei vestiti, sono di un colore variopinto e hanno un’aria vagamente umana.
La protagonista di questo libro è Mea e la prima cosa che salta subito all’occhio è che è una ragazzina infelice. 12 anni, piccola, con i capelli neri e la erre moscia, Mea ama chiacchierare con il suo amico invisibile Cooper, osservare le persone e classificarle come animali. Ah e amava anche il suo giardino, che si è accidentalmente trasformato in uno stagno: una vera sfortuna. Ma la sfortuna non è finita perché, a causa di vari problemi, la mamma ha deciso che Mea dovrà trasferirsi per qualche tempo a Lontan Town, che è davvero molto-molto lontano, a parecchie ore di volo dall’Italia e dove si parla solo inglese. Ad accoglierla e ad accudirla troverà la zia Ludovica, la sorella del defunto padre. E così Mea, piena di dubbi e ansie, si prepara ad affrontare la città di Lontan Town. Andrà tutto bene finalmente?
Il giardino di Lontan Town è un libro insolito sotto diversi punti di vista. La protagonista Mea è una ragazzina che a soli 12 anni è infelice. Sveglia, intelligente, acuta osservatrice ma infelice. Ha una madre che non fa altro che lamentarsi e sognare di vivere all’estero, un fratello con cui non ha un rapporto e una zia che a prima vista sembra proprio un disastro. Mea si rifugia così nel suo mondo di animali, anche se sa che non esiste, che è tutto frutto della sua immaginazione e Cooper ne è un esempio: un ottimo amico, ma inesistente. Avendo vissuto in condizioni precarie, Mea è anche più matura di quello che è, una dodicenne, e cerca di agire come un adulto: sistemare le cose e rimettere tutti in riga. Ma la sua condizione di bambina emerge tutta quando le cose non vanno: si rende conto di essere ancora piccola e fragile. E che non è giusto che sia lei a farsi carico di tutto: i lamenti della mamma, i piagnistei della zia. Gli adulti in questo libro sono degli irresponsabili, non si accorgono delle sofferenze di Mea perché sono concentrati su loro stessi, impedendo così alla ragazzina di pensare alla sua felicità.
A Lontan Town le cose per Mea sembrano finalmente andar bene, non come vorrebbe ma meglio di prima: la scuola le piace, ha un’amica e una casa vera. Strano che si senta così bene quando la sua famiglia si trova a km e km di distanza, no?
Quando tutto questo viene messo in discussione, di nuovo, e all’orizzonte sembra profilarsi l’ennesimo trasloco, Mea si batte per difendere la sua piccola oasi di felicità. Contro tutti, anche contro la sua stessa madre, per la prima volta. Da bambina cerca di fare il salto, di diventare adulta, senza riuscirci. Il suo grido d’aiuto però smuove finalmente gli adulti.
Il libro non si conclude con un “vissero tutti felici e contenti”, ed è insolito perché non finisce. Mea alla fine può finalmente comportarsi da ragazza “normale” e lasciare che siano gli adulti a sbrigare le faccende complesse: è questo il vero lieto fine, un’infanzia/adolescenza ritrovata. Per questo non sappiamo esattamente cosa sia successo poi. Dal capitolo finale sappiamo solo che Mea strana era e strana è rimasta. E un giorno una delle sue tante fantasie sembra trasformarsi in realtà… che sia il preludio di un eventuale seguito?