Ci sentivamo vecchi di secoli, oppressi da un anno di ricordi feroci, svuotati e inermi. I mesi or ora trascorsi, pur duri, di vagabondaggio ai margini della civiltà, ci apparivano adesso come una tregua, una parentesi di illimitata disponibilità, un dono provvidenziale ma irripetibile del destino. (Primo Levi, La Tregua)
27 Gennaio 2014
Io non sono di quelle che amano le ricorrenze e fatico sempre ad adattarmi ai riti comandati che la scuola vuole come educativi: se non c'è una preparazione lunga, una dimestichezza con quei temi che si vorrebbero rievocare, la ricorrenza diventa un boomerang : dalla retorica si passa facilmente alla palude dell'indifferenza. È un po' come il giorno dei morti: i fioristi fanno affari, i cimiteri si rianimano finché, per un altr'anno, i vivi e quelli che vivi furono ritornano nelle loro tombe di marmo.
Ci sensibilizziamo facilmente al farmaco della memoria e ce ne vogliono dosi sempre più massicce per risvegliare le nostre coscienze. Preferisco per questo abituarvi poco a poco, nel corso di tutto l'anno, a ricordare, ragazzi, passando dalla Tregua di Primo Levi all'orrore di Se questo è un uomo, percorrendo insieme le pagine del Diario di Anna Frank, imparando l'immedesimazione e la vicinanza.
Non amiamo i pellegrinaggi del dolore: non ho mai aderito a una gita ai campi di concentramento: il sadismo dell'uomo è un patrimonio comune e mi chiedo sempre quanto il dettaglio sull'orrore dell'Olocausto istighi quel pruriginoso istinto del Male, anziché farne da deterrente. Meglio il potere della parola. Così, per Quel Giorno, vorrei discutere con voi ragazzi di una provocazione che mi fece un alunno, con l'incredulità spaventata dei bambini:
«Ma Prof, chi ha passato quelle cose orribili, non soffre a ricordare? Io le cose brutte le voglio dimenticare.»
Poter dimenticare può essere anche un diritto: Elena Loewenthal ne scrive qui; al Circolo dei Lettori di Torino, oggi 27 gennaio, parlerà contro il giorno della memoria. Proverò allora a spiegare, con parole brevi e semplici, la sua provocazione, ragazzi.
Elena Loewenthal è una scrittrice, studiosa dell'ebraismo, figlia di ebrei MA non ha vissuto l'Olocausto: troppo giovane. Nel suo DNA, però, ha il carico da novanta delle memorie del proprio popolo e per questo vorrebbe poter non ricordare la Shoah,
perché la memoria ossessiva della morte non è un valore né appartiene all'ebraismo, che celebra la vita, perché la parola "condivisione", relegata al Giorno della memoria, è un'ipocrisia: la sofferenza non si può condividere né risarcire, perché, per costruire la pace, una società ha anche bisogno di «imparare a dimenticare i torti perpetrati e quelli subiti», perché il GdM riguarda tutti noi ma non bisogna dimenticare che «la cognizione del male non è un vaccino contro il male».
Infine, «pensare che gli Ebrei ambiscano a celebrare questa memoria significa non provare nemmeno a mettersi nei loro panni. Quella memoria è scomoda, terribile, respingente.»
Chi ha l'eredità di un dolore vissuto lo vorrebbe dimenticare. Noi, che invece possiamo, noi non dobbiamo dimenticare.
Arrivederci, ragazzi.
La vostra Prof, Favella Stanca