Un atteggiamento frequente dei ragazzi che studiano per diventare maestri e che sono all’inizio del loro percorso, è l’entusiasmo implicito nel voler lavorare con i bambini in quanto bambini.
I bambini hanno fantasia, sono spontanei, sono diversi dal mondo degli adulti nel quale ci sentiamo (qualche volta o spesso) stranieri.
La mitizzazione del mondo dell’infanzia, trasformando un dato di cultura in un dato di natura, nega che l’infanzia sia un momento con una propria durata, con proprie caratteristiche biologiche, psichiche, emotive, e afferma invece che sia un momento naturale, svincolato dal tempo, con caratteristiche immutabili e sempre riconoscibili.
Guardare ai bambini con questi occhi significa andare verso l’incontro con i bambini reali e assistere alla fine di tali certezze; allora bisognerà vedere se l’antica prima motivazione saprà evolversi in qualcosa d’altro che sia il più possibile vicino alla tecnica di una professione e non all’atteggiamento di una personalità – e quando si parla di vocazione per l’insegnamento, se per vocazione si intende questo trasporto ‘personale’, non ci credo, cioè non credo sia una giusta, proficua motivazione alla professione: credo alla vocazione quando questa sia volontà e necessità e felicità di una continua formazione professionale (di qualunque professione).
Questa che segue è la correzione di un testo di prima elementare. Il bambino doveva riassumere una storia con protagonista il pesce Arcobaleno; il testo del bambino inizia così:
Arcobaleno viveva nel mare. Era luccicante e colorato.
Arcobaleno giocava da solo.
Un pesciolino piccolo gli chiese mi regali una delle tue scaglie colorate.
Il testo dopo le correzioni appare così:
Arcobaleno viveva nel mare. Era luccicante e colorato, ma giocava da solo perché era tanto vanitoso. Un pesciolino gli chiese se gli regalava una delle sue scaglie colorate perché ne aveva tante.
Ecco cosa è successo tra un testo e l’altro:
1) è stata eliminata la sequenza di frasi singole, in favore di un periodo che contiene tre frasi di cui due presenti nel testo originale, una aggiunta;
2) è stata eliminata la ripetizione del nome proprio del soggetto;
3) è stato eliminato un aggettivo qualificativo associato a un diminutivo;
4) è stato eliminato il discorso diretto con l’introduzione del discordo indiretto;
5) è stata aggiunta una frase nel discorso indiretto del testo corretto non presente nel discorso diretto del testo originale.
Il testo corretto dialoga con il lettore creando un mondo più strutturato e in equilibrio, dove i personaggi hanno atteggiamenti interiori, dove una richiesta nasce da una motivazione, dove le cose si dicono una volta sola.
La correzione è andata verso le ragioni di un testo argomentativo; ora c’è da chiedersi se essa abbia incrementato il sapere del bambino rispetto alla opportunità stilistica di ripetere o meno un nome proprio o di usare o meno un aggettivo qualificativo come ‘piccolo’ insieme a un diminutivo; se abbia agito sulla qualità delle competenze linguistiche del bambino e sulla sua capacità di vedere e capire la realtà descritta nel testo e magari per analogia di vedere e capire la realtà del mondo che lo circonda.
Ma credo che ci si debba chiedere, anche, dove sia andata a finire l’esigenza semplice del bambino di presentare Arcobaleno e di tenere l’attenzione su di lui, dove sia andata a finire la naturale necessità del bambino di avvicinare il pesciolino ad Arcobaleno per il tramite della viva voce.
I bambini sono così meravigliosi che non li vediamo nemmeno.
Nella storia, subito dopo, si dice che Arcobaleno rifiuta di cedere qualcuna delle sue scaglie colorate. Dunque poniamo una quotidiana situazione in cui due bambini di sei anni, Marco e Giovanni, si incontrino al parco; poniamo che Marco abbia due macchine che fa andare su e giù sull’erba e che Giovanni non abbia niente; poniamo che Giovanni chieda a Marco di giocare con una delle due macchine e Marco gli dica di no. Marco dice di no perché sono sue, le macchine, e di nessun altro.
Ora: la storia di Arcobaleno parla di squame colorate, le squame colorate hanno a che fare con il sentirsi bello, il sentirsi bello ha a che fare con la vanità, ma la dinamica del ‘mio/tuo’ rimane la dinamica del ‘mio/tuo’ ed è ciò che il bambino di sei anni riconoscerà per prima e magari per unica.
I bambini non sono creature meravigliose. Sono animali linguistici in continua evoluzione capaci di pensieri e azioni della più varia natura. Di meraviglioso c’è quando riusciamo a vederli, quando sappiamo accettarli per come sono e quando troviamo il modo di aiutarli a crescere, ovvero a cercare e a conferire un senso alla loro vita.
Correzioni di questo tipo portano al disorientamento del bambino, in un primo tempo; alla certezza del bambino di aver sbagliato, in un secondo tempo; alla consapevolezza da parte del bambino che la lingua italiana è una materia che si impara a scuola e non una risorsa spontanea, duratura e in grado di crescere con lui e questa consapevolezza verrà consolidata lungo il percorso scolastico. Sarebbe bastato aggiungere puntini lineetta e punto interrogativo al discorso diretto, per tutelare e valorizzare quel modo di guardare e di raccontare la storia di Arcobaleno che era di quel bambino, in quel momento, introducendo tre elementi inerenti la sfera della competenza ortografica che il bambino sarebbe stato in grado di riconoscere e tenere per sé.
L’espressione individuale, che si realizzi attraverso linee e colori o attraverso parole e frasi, va osservata, accettata e compresa: solo così si potrà essere buoni maestri, anche e soprattutto di lingua italiana – che è come dire del mondo che sta dentro e fuori di noi – con la consapevolezza di quello che si sta facendo, a favore di chi lo si sta facendo e per quali obiettivi.