A pochi passi da Foggia, nel cuore della Capitanata, c’è un sito archeologico di straordinario interesse, che conserva i resti dell’antica città romana di Herdonia. Persino Orazio, il famoso poeta latino, qui vi sostò nel 37 a.C., nel suo viaggio da Roma a Brindisi; di questo oppidulum, come definisce la città nei suoi versi, Orazio apprezzò soprattutto la bontà del pane, “il migliore del mondo”, tanto che ne fece scorta per il resto del viaggio.
Ciò che determinò, tra II e III secolo d.C., la fortuna di questo centro apulo, inizialmente assai piccolo, fu la costruzione della vita Traiana, nel 109 d.C., che proprio di qui passava e che qui avrà condotto chissà quanti mercanti, viandanti e pastori. I basoli del lastricato stradale recano i solchi, ancora ben visibili, dei carri che l’hanno attraversata e sono consumati non solo dal tempo, ma anche dal passaggio, continuo nei secoli, dei piedi che ci hanno camminato sopra quotidianamente. La via Traiana costeggiava il foro cittadino, il fulcro della vita sociale, economica e religiosa della città, lo spazio attorno al quale si trovavano i principali edifici pubblici, come la basilica, e le botteghe in cui si potevano comprare merci di ogni tipo, e conduceva poi alle terme, laddove ci si dedicava al relax e al benessere del corpo e della mente.
L’area archeologica di Herdonia, enorme e solo in parte riemersa dalla terra, è stata scavata da decine di archeologi, prima belgi e poi italiani, che dagli anni ’60 sino al 2000 qui si sono avvicendati, riuscendo con il loro instancabile lavoro a riscrivere pagine importanti della storia di questa sito. Con le loro braccia, l’entusiasmo, l’intelligenza e la vivacità delle loro menti, gli archeologi hanno fatto rinascere dalla terra una città di cui non si sapeva nulla e i cui resti solo in parte affioravano in superficie. Un lavoro immane, certosino, estenuante ma appagante, di cui è possibile avere una minima idea leggendo i tanti libri scritti negli anni sui risultati delle campagne di scavo.
Quello di Herdonia, nel 2000, è stato il mio primo scavo archeologico: avevo vent’anni, ero incosciente e straripante di passione ed emozione come tutti gli archeologi alle prime armi. Non sapevo bene come funzionava un cantiere, cosa aspettarmi e cosa temere; i manuali di scavo ti insegnano il metodo di scavo, appunto, ma il primo contatto con la terra, con le murature e i reperti che affiorano e che sembrano reclamare attenzione e cura è qualcosa che nessun manuale può anche solo lontanamente spiegarti. Credo sia un’esperienza per certi versi simile a quella della nascita, quando un bambino che per mesi si è atteso e su cui si è a lungo fantasticato, all’improvviso te lo ritrovi tra le braccia, piccolo, urlante e indifeso.
Il ricordo di quella prima esperienza di scavo è una delle cose più preziose che mi porto dentro, assieme alla bellezza del paesaggio che ne fu scenario e che ancora oggi, arrivando ad Herdonia, ti coglie impreparato. Sono tornata ad Herdonia, dopo anni di assenza, la scorsa settimana, accompagnando un gruppo scolastico in visita al sito. Fa piacere e rincuora vedere i ragazzi che si aggirano tra le rovine del foro e che tentano, non senza qualche difficoltà, di orientarsi sulla cartina, di distinguere edifici di cui non si coglie più nulla o quasi, di riconoscere sui muri resti di affreschi e tracce di vita. Addolora invece lo stato di abbandono in cui versa l’area archeologica: interi settori, come quello delle terme, sono completamente nascosti dalla vegetazione e non vi è nessun cartello, segnaletica che possa anche solo orientativamente guidare l’ignaro visitatore che qui vi giunge.
Ha suscitato scalpore e rabbia la notizia, comparsa sui giornali qualche settimana fa, che ad Ordona, proprio nei pressi dell’area archeologica, è stata trovata, tombata in un cratere, una discarica di rifiuti speciali provenienti dalla Campania.
La nostra terra, in Puglia come in tutta Italia, con i suoi paesaggi ricchi di natura e storia, sono la cosa più importante e preziosa che abbiamo e contribuiscono a definire la nostra identità di cittadini di questo Paese. Questa è la ragione per cui non si può restare indifferenti di fronti ai tentativi mafiosi di avvelenamento dei nostri terreni, né tantomeno si può accettare che un sito eccezionale ed unico come quello di Herdonia versi in condizioni di totale trascuratezza, che ne impediscono la corretta fruizione e conoscenza.
C’è da sperare non solo che gli scavi e dunque la ricerca riprendano quanto prima, ma che l’area archeologica venga restituita nella sua integrità e varietà ai cittadini, gli unici davvero in grado, con la loro curiosità, interesse, azione e senso civico, di garantire la salvezza e la cura del nostro patrimonio.