Da quando mi occupo di letteratura per ragazzi non riesco a non fare il paragone con i libri che mi facevano leggere quando la ragazza ero io… roba di una tristezza inverosimile! Innanzitutto, non si capisce il perché, quasi tutti i protagonisti o erano già orfani o lo sarebbero diventati. Se non erano orfani erano poverissimi e avevano qualche parente gravemente malato. Oppure erano sfruttati, allontanati dalle famiglie, insomma, mai nulla di vagamente allegro o anche solo “normale”. Mi ricordo che mentre leggevo cose come Oliver Twist, Il piccolo Lord, La piccola principessa o Cuore (il mio preferito) mi scendevan giù lacrimoni giganteschi. Quello che mi faceva piangere di più era Il Lampionaio, l’avrò letto una ventina di volte senza mai riuscire a trattenere le lacrime. Per fortuna, a un certo punto, è arrivato Michael Ende a salvarmi, finalmente riuscivo a leggere un libro senza farmi un pianto, per cui li lessi tutti: La storia infinita, Momo, Lo specchio nello specchio etc. Grazie a Ende, scoprii che la letteratura non doveva necessariamente straziare i cuori, che va bene i sentimenti e tutto il resto, ma esistevano anche l’avventura e il divertimento.
Per fortuna, oggi, le cose sono cambiate e la letteratura per ragazzi non è più caratterizzata solo dalla tristezza, anzi, spesso, anche se si affrontano problematiche serie come una malattia o la separazione dei genitori, non si punta sulla compassione bensì sulla via d’uscita, sulle soluzioni. Insomma, le storie viste attraverso le lenti della positività. Tra l’altro, mi rendo conto che negli ultimi anni, le cose migliori che ho letto vengono proprio dai libri per ragazzi, per cui mi sono chiesta: cos’è la letteratura per ragazzi? Una definizione potrebbe essere questa: una letteratura destinata ai teenagers che tratti argomenti a loro affini. Ma è davvero così o è letteratura e basta? Personalmente, sono di quest’ultimo avviso, ossia che non esista una letteratura per grandi e piccoli, così come non ci sono storie grandi e storie piccole.
Bene, perché vi dico tutto ciò? Perché vengo fuori da una lettura che ha scaturito tutte queste riflessioni, una storia che mi ha tenuta incollata al libro dalla prima all’ultima pagina e che la sera non mi faceva vedere l’ora di ritornarvi per rientrare nel mondo di Milo.
Milo è il protagonista di Quello che gli altri non vedono, di Virginia Macgregor, Giunti Editore, tradotto dalla bravissima Chiara Baffa. Milo ha nove anni e un problema alla vista, come se vedesse il mondo da un piccolo forellino. In generale fa una vita abbastanza normale, Milo ha capito che si possono osservare le cose nel particolare, tralasciando il quadro generale e ciò cambierà anche la sua visione della vita.
Milo è intelligente, sveglio, vive con la madre e la nonna. Il papà non c’è, adesso è in luogo esotico insieme alla sua nuova famiglia. La mamma, ovviamente, non l’ha presa bene e non fa che mangiare biscotti e contemporaneamente ingurgitare pillole e beveroni che dovrebbero farla dimagrire. E poi c’è nonna Lou che non dice una parola da quarant’anni e per comunicare si serve di carta e penna. La nonna, purtroppo, non è più la stessa, da qualche anno non è più in grado di badare a se stessa per via di una forma di demenza senile che a volte le annebbia i ricordi e la rende impacciata nei movimenti. Milo vuole un gran bene alla nonna e si prende cura di lei al meglio delle sue possibilità e del tempo a disposizione. Poi c’è pure Amleto, l’animaletto di casa che serve anche a tenere al caldo la nonna quando ha freddo (non vi dirò di che animale si tratta!). Così vive Milo, questa è la sua famiglia e poi c’è la scuola ovviamente, dove comincia a avere qualche problema.
Tutto fila più o meno liscio finché non arriva il momento di trasferire nonna Lou in un posto in cui possano prendersi cura di lei nel migliore dei modi, la casa di riposo Nontiscordardimè. Milo non la prenderà affatto bene, non vuole separarsi dalla nonna, così promette a se stesso che riuscirà a riportarla a casa entro Natale. Ovviamente, non posso aggiungere altro, vi dirò solo che a questo punto il libro diventa un giallo da risolvere, con tanto d’investigazioni e collaboratori che aiuteranno Milo nel suo intento.
Ma, al di là della storia in sé, è proprio Milo il fulcro del libro. La Macgregor ha dato vita a un personaggio indimenticabile, uno di quelli che vorresti conoscere, passargli una mano tra i capelli e dire: “Sei un tipo in gamba, Milo!”. Perché malgrado le difficoltà Milo va sempre avanti, niente lo ferma, nemmeno quel piccolo forellino attraverso cui vede ciò che agli altri sfugge. È come se Milo avesse il compito di far innamorare di sé ogni lettore, come se fosse stato messo lì appositamente e la storia, altresì coinvolgente, venisse dopo. Io ci vorrei passare il Natale con Milo, Amleto e nonna Lou e sono sicura che dopo che lo avrete letto, vorrete farlo anche voi. Allora che dite, passiamo il Natale tutti insieme?