‘La retorica è pura tecnica: la consapevolezza di quel che si può fare con le parole, quel che accade se maneggio gli aggettivi in un modo o altrimenti, se allontano o avvicino verbo e soggetto, se frappongo incidentali, se costruisco per dipendenti o coordinate. Quel che mi affascina nel discorso della retorica è l’assoluta indifferenza a ciò di cui si parla, ai sentimenti, gli affetti, i conflitti, le visioni, le depressioni e le euforie che dàn vita e morte a un testo.’
Così Giorgio Manganelli ne Il rumore sottile della prosa.
I testi che seguono sono di bambini di otto anni (il primo), di ragazzi di dodici anni (il secondo) e di tredici anni (il terzo e il quarto):
Il mio nonno
Mio nonno è un pittore.
Con lui io mi diverto molto perché gioco sempre con le carte.
Quando non lo vedo è in una stanza a fare quadri.
Io sono molto bravo a disegnare perché ho preso da lui.
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Se non ci fosse il tramonto io sarei un fallito, dentro di me mi sentirei triste e solo. Il tramonto per me è tutto l’essenziale della vita. Il tramonto che brilla sul mare mi fa sentire rilassato, felice e pieno di sentimenti. Mi serve per illuminare la mia vita, mi fa pensare a tutti i ricordi che ho vissuto, mi fa stare in pace con me stesso.
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Mio nonno è forte! Molto forte! Quando ero piccola mi aiutava sempre lui a salire le scale, quando al mare c’erano le onde forti, lui mi teneva su con forza e quando stavo per cedere lui mi prendeva la mano e mi tirava su, senza neanche farmi toccare terra. Lui mi parlava sempre della frutta dei suoi alberi e della verdura del suo orto ed io ascoltavo e mi piaceva. Quando mia nonna mi portava al parco o al porto, mio nonno, da lontano, mi guardava, mi teneva d’occhio, sempre.
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Io mi ricordo… l’odore della terra secca, quello della paglia gialla dietro casa mia, la campagna dove andavo a catturare le cavallette e il solletico quando le prendevo in mano.
Io mi ricordo come fosse successo ieri, sbarcato in Italia con pochi spicci per sopravvivere e tanti sogni da realizzare, poi vidi papà, barba incolta, jeans, sporco di lavoro, sudato, ma era papà.
Se la retorica è pura tecnica e ignora ciò di cui si parla, è certo che ognuno di questi bambini e di questi ragazzi non è stato indifferente alle ragioni personali, cioè appunto a quei sentimenti, affetti, conflitti, visioni, depressioni e euforie che danno vita e morte a un testo, come scrive Manganelli; nessuno di loro, scrivendo, voleva ottenere un effetto specifico con un uso specifico del linguaggio. In nessuno di questi testi, precisamente, vi è una attiva provata facoltà di compiere con successo l’ars bene dicendi (la retorica) mirando a una perfezione che sia frutto non di naturale processo fisico, non del caso, né di qualcosa che possa essere considerato un vero e proprio miracolo (sto citando liberamente dal Lausberg, Elementi di retorica).
Si potrebbe tuttavia rintracciare, in questi testi, una grammatica del pensiero che ottenga alcuni effetti espressivi dall’interno della struttura stessa della lingua scritta, della grammatica del testo?
Una osservazione e un’analisi di questi testi penso potrebbe portare a riconoscere qualche figura di espressione o di parola, qualche dettaglio (espediente) narrativo che raggiunga determinati effetti espressivi.
A questa osservazione ‘testuale’ si accompagna per chi lavora con i bambini e con i ragazzi una osservazione del gesto della scrittura: come sono stati prodotti questi testi?
Ci sono state cancellature e ripensamenti?
Sono nati ‘di getto’?
Hanno avuto una gestazione molto lenta, una costruzione frammentaria?
Sono domande utili a comprendere lo stile di pensiero, per consolidarne consapevolezze già in atto e per lavorare sulle nuove acquisizioni.
Il testo qui sotto è di un bambino brasiliano di undici anni, da poco in Italia.
Questo bambino ha per prima cosa fatto un disegno; poi ha espresso a voce la somma di pensieri – il testo – già espresso graficamente (e questo testo è stato registrato in caso non fosse riuscito a esprimersi in lingua scritta); infine ha iniziato a scrivere molto lentamente e per frammenti.
I singoli movimenti che formano il testo vengono riconosciuti attraverso la lettura, e succede una cosa strana. Succede che mentre si legge a voce alta una volta, due volte, per captare la fine di un movimento e l’inizio del movimento successivo, succede che si arriva in fondo, là dove, dopo il tuono nero e la fila dei bambini, dopo gli amici buoni e la data che segna l’inizio di una nuova vita, arriva l’autunno, gli animali che dormono e le foglie cadute: la cosa strana è che finché è stato in Brasile l’autunno, per questo bambino, non è mai esistito; la cosa strana è che dentro due stereotipie il tempo delle minime cose si apre al ritmo di una vita che è presso di noi ma anche altrove, a un senso che ci riguarda così da vicino e ci interroga così profondamente, scrutando istanti e piani che non appartengono più solo all’individuale, ma all’umano.
Quando sono arrivato in questa scuola ero un po’ timido ero di banco con Richi e Matti dentro di me sentivo come un tuono nero e una luce dorata era la prima volta che avevo degli amici così buoni mi chiamavano per giocare abbiamo scritto poche cose all’ora di uscire ho creato io la fila io ero di mano con Petra era il 12/09/2013 era autunno tutti gli animali erano nelle loro tane che dormivano e le foglie erano cadute.