Ci si preparava circa una settimana prima, quando l’aria di festa iniziava già ad essere palpabile nell’aria. Apparivano i primi scheletri di quelle che da lì a breve sarebbero diventate colorate bancarelle, e le luminarie iniziavano a far timidamente capolino, appese tra una parete e l’altra di palazzi ormai vecchi e quasi sbilenchi.
Infine ecco arrivare il tanto atteso fine settimana, con i suoi botti mattutini ad annunciare, in rumorosa pompa magna, l’inizio della festa. Due giorni di baldoria paesana, in cui la piccola comunità di provincia si ritrovava spesso ad omaggiare il proprio santo patrono o una qualche ricorrenza locale.
In un tale clima di festa, il paese si risvegliava, e visi sempre nuovi, di gente che mai avevi visto o anche solo scorto fino a quel momento, imperversava per le stradine. Erano infatti occasioni per le famiglie di ritrovarsi e per la comunità di accogliere nuovamente tra le sue braccia quegli abitanti da tempo trasferitesi altrove.
E poi, particolare davvero divertente, li vedevi tutti in ghingheri, ognuno di loro fiero di quell’abito appena sottratto alla cura della naftalina, con le scarpe della domenica ai piedi. Un’immagine che strappava più di un sorriso, senza cattiveria, però.
Tutto ciò succedeva quand’ero bambino, dato che col passare degli anni gran parte di quelle feste che allora vivevo hanno perso attrattiva, con una partecipazione che è andata via via scemando.
Ma altrove sono realtà ancor vive, un frammento di vecchia provincia che tutti, anche coloro nati e cresciuti nelle grandi metropoli, dovrebbero sperimentare almeno un paio di volte.
Del resto abitiamo in Italia. Due passi fuori porta e il gioco è fatto, sì.
Comunque sia, tra banchetti di zucchero filato, cocco e noccioline, presenze immancabili e onnipresenti, tra fave secche, ceci e caramelle gommose (con moscerini incorporati), le attenzioni di un bambino non potevano non essere rivolte che a quelle bancarelle di giocattoli nel tempo mai cambiate. Balocchi di plastica sempre uguali, nonostante il trascorrere degli anni, il rinnovarsi delle mode o il subentrare di nuove tecnologie.
C’era allora la fatidica ruota in plastica rossiccia, con manico incorporato, regina di ogni bancarella, il cui divertimento stava tutto nello spingerla in avanti, godendo del monotono e fastidioso rumore che il movimento produceva, oppure quel colorato martello capace di squittire disperato ad ogni martellata.
E ancora: la fedele girandola per il vento, il flacone di sapone per le bolle, il tamburello ricolmo di caramelle, il set per giocare al dottore o i kit per sceriffi perfetti. Poi c’era lei, altro immancabile pezzo da museo: la palla in plastica con elastico incorporato… Non bisognava fare altro che legarla tra le dita e poi spingerla in avanti in un continuo ed eterno palleggiare.
Sono tutti giocattoli che sorprendono per la loro semplicità, residui di un passato in cui l’elettronica muoveva ancora i suoi primi passi ed era possibile divertirsi con poco.
Le bancarelle erano stracolme di questi oggetti colorati, molti dei quali ormai caduti nel dimenticatoio. Ma qui, son certo, entrerete in scena voi, no? Ne ricordate qualcun altro?