Essere ragazzino durante la seconda metà degli anni ’90 significava avere un mucchio di responsabilità. Insomma, c’erano Pokemon da acciuffare ed addestrare. Missione che, al fine di catturarne quanto più possibile, avrebbe dovuto comportare un bel viaggetto lontano da casa. E pare esserci gente, almeno così si dice, ormai un po’ grandicella, che sembrerebbe non essersi ancora arresa. Su e giù per il mondo col pokedex in mano.
A chi, invece, non era stato dato il permesso di allontanarsi, probabilmente perché c’erano ancora esercizi di matematica da fare, spettava altro. Un compito certamente non meno pregno di responsabilità. Anche qui, un cucciolo da accudire, un animale che non aveva nulla da invidiare al più strano dei Pokemon. Cioè, era pur sempre un cucciolo extraterrestre! Era il tamagotchi.
Diventato in brevissimo tempo vero e proprio fenomeno di massa, questo giochino elettronico non ha avuto rivali per un bel po’.
Vuoi perché facilissimo da trasportare, vuoi perché fortemente pubblicizzato, è stato un vero e proprio successo in fatto di vendite, trasformando la propria inventrice, tale Aki Maita, dipendente della Bandai, in una donna alquanto ricca.
Non avere un tamagotchi era un po’ come andare in giro senza scarpe. L’assenza si notava.
Lo si teneva sempre in tasca, lo si appendeva alla cartella e lo si mostrava orgogliosi ai propri compagni di scuola. Un cult di quegli anni, insomma.
Ma in cosa consisteva il gioco?
Si trattava essenzialmente di un cucciolo virtuale, che le istruzioni volevano provenire da un punto imprecisato dello spazio. Scopo del gioco era crescerlo e accudirlo prima che, diventato adulto, decidesse di ritornare sul proprio pianeta. Più lo si trattava bene, facendone crescere salute e felicità, e più avrebbe ritardato la partenza.
Varie le opzioni possibili, il tutto compreso nei soli tre pulsanti presenti: nutrirlo, curarlo, giocarci, sgridarlo in caso di capricci, pulire i bisogni e spegnere/accendere la luce.
Ognuna di queste azioni era indispensabile, e ci si ritrovava ad attuarle a rotazione.
Gioco simpatico, no? Per nulla!
Questo perché, da quel che ricordo, era impossibile metterlo in pausa, con la conseguenza di sentirlo cinguettare frenetico durante una lezione o, cosa ancor più fastidiosa, in piena notte. L’animaletto richiedeva le tue attenzioni. La mia soluzione? Rinchiuderlo nel cassetto della biancheria, sotto slip e calzini.
Ammetto di non esser mai riuscito a completare il gioco, ma in compenso ho visto il mio mostriciattolo morire un sacco di volte. Mi pare volasse via sotto forma di angelo, ma alcuni modelli precedenti (poi sostituiti per via di alcune proteste) optavano addirittura per una bella e spettrale lapide in primo piano. Come dire: hai ucciso il tuo cucciolo, razza di incapace!
Sempre meglio di un pesce rosso, comunque.