Un elefante nella stanza è un modo di dire: un problema grosso che tutti conoscono ma che volutamente ignorano per paura o convenienza.
Il guaio per questi “elefanti” è quando ci sono di mezzo i ragazzini: non più bambini che si lasciano spaventare, non ancora adulti imprigionati nelle convenzioni sociali. No, i ragazzini sono delle brutte bestie: più farai finta che l’elefante non c’è, più loro te lo sbatteranno sotto il naso. Un po’ come fa Masha, la protagonsta di Un elefante nella stanza di Susan Kreller, edito da Il Castoro.
Masha ha 13 anni e passa tutte le estati dai nonni, in una cittadina di provincia dimenticata dal mondo.
Masha non ha amici, o meglio non li cerca e non viene cercata: passa tutto il suo tempo al parco giochi, sola, nella parte più alta del castello. È qui che incontra i fratelli Brandner, Julia e Max. Non è amore a prima vista, ma poco a poco diventano amici. I due fratelli, di 9 e 7 anni, sono un po’ strani a volte, ma a Masha va bene così.
E poi succede. Succede qualcosa che la sconvolge, nel profondo.
Un giorno Masha va a casa di Julia e Max, per andare al parco insieme, e dalla finestra vede.
Vede il signor Brandner sbattere con violenza il figlio contro il muro, mentre Julia se ne sta rannicchiata in un angolo, lo sguardo assente.
Masha rimane sconvolta e racconta tutto ai nonni. E invece di trovare comprensione, trova un muro.
Masha sei matta, Masha non avrai visto bene, Masha il signor Brandner è una brava persona titolare di una concessionaria d’auto.
Nessuno sembra disposto ad ascoltarla, nessuno sembra voler aiutare i bambini. Perché?
Masha però non riesce a far finta di niente e da sola trova una soluzione: forse non la più giusta, ma è l’unica che le viene in mente.
Leggendo Un elefante nella stanza ci si sente impotenti.
È un libro che fa provare emozioni forti: la semplicità con cui Masha, dall’alto dei suoi 13 anni, ci racconta quello che vede e fa, ci lascia emotivamente nudi. A volte le azioni valgono più di mille forse-magari-però e di ogni altra scusa ipocrita socialmente accettabile. E l’azione giusta da fare è anche la più semplice. Così semplice che Masha la fa, senza stare a pensarci troppo, scoprendo quel vaso di pandora che tutti avevano fatto finta di non vedere.
Perché avrebbe significato la fine: fine delle feste, dei rapporti di buon vicinato, dei prati ben rasati e delle ortensie ben tenute. Si era fatto tanto perché il male non arrivasse a Barenburg “la città più noiosa del mondo” che quando ci arriva nei lividi dei figli del signor Brandner, il perfetto vicino di casa, tutti pensano di aver visto e sentito male. E quando Masha toglie quel velo di omertà, si ritrova tutti contro: il male diventa lei.
Ma d’altronde Masha cosa poteva fare? Fingere di non avere visto, di non aver sentito quelle terribili grida?
La ragazzina con le sue parole scopre tutta la fragilità dell’età adulta.
Un elefante nella stanza è un libro che non si legge a cuor leggero, ma rimane comunque uno di quei libri da tenere in libreria, per il coraggio che ha Masha di parlare. Perché più della violenza domestica colpisce l’ostinazione della cittadina a credere che i lividi di Julia e Max siano solo lividi “da bambini”.
Un’ottima prova per Susan Kreller, al suo primo libro per ragazzi.