Nel corso dei miei diciannove anni (ventidueemmezzo all'anagrafe, ma chi ha più fiducia nelle istituzioni statali) ho intrapreso numerose collezioni: mucche – salvadanai pezzati, astucci pezzati, pantofole pezzate -; statuine di fate (sooo wiccan); Johnny Depp – con questo, purtroppo, non intendo proprio la sua persona (il pezzo più raro per ogni collezionista di johnnydepps), mi sono dovuta limitare ad informazioni anagrafiche, gossip, articoli, foto, film e poster pubblicitari formato A3.
Inutile dire che nessuna di queste è mai durata per più di un paio di anni. Johnny Depp compreso.
C'è però una collezione che ho portato avanti inconsapevolmente per anni. Dico "inconsapevolmente", perchè davvero non mi ero mai resa conto di quanti libri di fiabe io avessi in casa, e di quanti io continuassi a comprarne, o a riceverne in regalo ogni qualvolta i miei genitori tornavano da qualche viaggio all'estero.
Un giorno ho aperto gli occhi sulla libreria di camera mia, e tra un Chuck Palahniuk e un pagina strappata da Vanity Fair su Edward Mani Di Forbice, mi sono resa conto di quanti spessi volumi di favole si ergessero fieri come castelli sulle mensole. Era una passione. E' una passione. E non ci avevo mai fatto caso.
Una passione nata da mia nonna e recuperata da mia madre, che ogni notte si sedeva sul bordo del mio letto e mi cullava il sonno attraverso le gesta di Cicciobomba, Perticone e Occhiofino; la saggezza di Frau Holle e la malinconia del Principe Felice.
Inutile dire che quasi ogni Grande Classico Disney della mia – ma probabilmente anche della vostra – infanzia è tratto da una fiaba. I Fratelli Grimm sono i più gettonati nel Totofavolai, ma c'è spazio anche per Perault e per un Hans Christina Andersen, il mio autore preferito, adatto con la sua malinconia all'altrettanto malinconico cielo autunnale.
Inutile – ancora una volta – dire che quando si parla di Andersen e di Disney si parla inequivocabilmente de La Sirenetta. Altrettanto inutile dire che la versione animata poco ha a che vedere con il e-non-vissero-felici-e-contenti dello scrittore danese: il principe Eric la sposa la sua principessa, la sposa eccome. Peccato che Suamaestà in questione non sia la figlia del Re dei Mari, che dal canto suo, tra la vendetta e il suicidio, indovinate un po' cosa sceglie? Della sirenetta altro non resta che spuma di mare.
Hans Christian Andersen non lo vedeva proprio il lieto fine. E questo non è nemmeno il suo racconto più straziante: provate a leggere Storia di una mamma. No, anzi. Non fatelo. Che poi si piange.
Ma questo si sa. Che Papà Walt addolcisse con un poco di zucchero la pillola per mandarla meglio giù, è noto. Magari è anche giusto. Magari no. Non staremo qui a fare facili moralismi.
Quello che forse non si sa è che, con estrema probabilità, Hans Christian Andersen era gay. E allora la fiaba de La Sirenetta assume tutt'altro colore: quella di Ariel è la storia di una creatura diversa dal mondo che la circonda e di cui vuole far così tanto parte da essere disposta a rinunciare alla sue pinne, alla sua diversità, per avere le gambe con cui camminano tutti. E' la storia di chi, disperatamente, vuole essere amato. Ed è la storia dell'altrettanto necessario fallimento che ne conseguirà. Perchè avere le gambe non fa di una sirenetta un essere umano. Se sei un quadrato, per quanto ci provi, per quanto ti sforzi, non riuscirai mai a smussare i tuoi angoli così tanto da entrare in una formina per rotondi. Per Andersen questo era un problema. Il punto invece è che oggi non dovrebbe esserlo più.
In un mondo in cui ancora l'omofobia genera odio e violenza; dove, nonostante i progressi scientifici e tecnologici, la paura del diverso – il Diverso Umano – ancora tarda a scomparire dai titoli di cronaca; un mondo dove gay, lesbiche, bisessuali e transgender ancora non vedono riconosciuto il loro diritto più grande – quello di amare – noi non vogliamo far crescere i nostri bambini. Io voglio sognare un mondo in cui quadrati e rotondi non devono faticare per adattarsi nei relativi spazi, ma liberi e felici si tengono per mano. Ed è il mondo che dovremmo disegnare per i nostri figli, mamme.
L'informazione qui aiuta. E cosa è un libro se non informazione?
Angeli da un'ala soltanto, del giornalista e scrittore italiano Sciltian Gastaldi – premio per il miglior libro gay 2005 – è la storia di Francesco ed Emanuele, due adolescenti romani che vanno al cinema, ascoltano musica, navigano in Internet, e come tutti i loro coetanei, amano. Si amano. Angeli focomelici che possono volare solo in coppia, abbracciati al loro compagno.
In copertina: una foto di Matthew Shepard, ventiduenne americano derubato, torturato ed ucciso da due coetanei il 12 ottobre di quattordici anni fa', perchè omosessuale. Al processo alcuni esponenti fanatici della Chiesa Battista hanno mostrato dei cartelli che recitavano "Dio Odia i Froci e "Matt all'Inferno". Come se non bastasse.
Il libro di Gastadi, da sempre attivista per i diritti del movimento LGBT, è un romanzo di formazione, ma soprattutto d'amore. Di amore libero. Libero di scegliere, libero di respirare, libero di vivere e di volare, anche se con un'ala sola.
Perché siamo tutti belli come angeli e sirenette quando siamo innamorati. Quadrati, triangoli e rotondi. Nessuno escluso.