Milano, un giorno di fine Estate 2012
Questo è il mio testamento.
Questo vorrei lasciarvi, cari ragazzi, se domani non ci vedessimo più.
Non mi sto augurando una nera Chera: cosa probabilissima, il non vederci più. È nel DNA di noi insegnanti l’esperienza dell’addio: sperimentiamo il rito cadenzato della temporalità delle relazioni e facciamo quotidiano esercizio con il sottile filo della vita. Ci abituiamo ai ricordi. L’emozione di prendere per mano delle mani ancora piccole è corretta dall’abitudine di doverle lasciare dopo poco. Generazione dopo generazione (sono già arrivata a contarne due, di generazioni di scolari). Non li dimentichiamo, i nostri studenti. Forse anche per questo mi è tanto caro quel ritornello:
E so che più non ci rivedremo.
Ma devo tirare le fila e questo è l’ottalogo di quello che vorrei esser riuscita a insegnarvi (otto è il mio numero perfetto) e che, da martedì, vorrei potervi insegnare ancora.
E dunque questa è anche la mia lettera di benvenuto:
1. Dite di no
2. Dite di no a chi vi chiede di abbassare la testa, «perché i tempi sono questi e se non siete voi c’è pronto un altro più chino di voi»
3. Ne consegue: conoscete i vostri diritti
4. Ne consegue: abbiate il coraggio dei vostri diritti
5. Ne consegue: non dimenticate che un no crea un martire e i martiri non ci servono più
6. Ne consegue: siate gruppo
7. Ne consegue: molti no creano un’affermazione. L’affermazione dei vostri diritti.
Ho scritto non per me, ma pensando a me quale cartina di tornasole del vostro futuro.
Ho scritto pensando a voi, adulti: se so che diventerete diversi da ciò che siamo noi, almeno nel coraggio, sarò finalmente serena con la mia coscienza.
Non mi interessa che ricordiate la sequenza degli eventi che dalla convocazione degli Stati generali portarono alla Rivoluzione francese, anche se vi ho sentiti borbottare «La odio!» quando, per l’ennesima volta, vi dicevo: «Sbagliato, studia di nuovo.», non senza quel sadico mezzo sorriso che è una delle piccole perversioni dell’insegnamento.
Mi interessa che riconosciate un ordine negli eventi.
Non mi interessa che ricordiate che la frase «Gigi, stai giocando a Risiko coll’Iphone?» è una domanda retorica che si aspetta una risposta affermativa conclusa da «scusi Prof» mentre Gigi risponderà «NOOOO» né che ricordiate che “Gigi” è un complemento di vocazione (molto invocato quest’anno, Gigi il tondo).
Mi interessa che sappiate ricostruire la gerarchia dei pensieri e darvi forma in una successione di parole intrecciate in un senso, cristallino, logico, chiaro a voi e agli altri.
Esercitate il dubbio, giusto. Ma non lasciate che il dubbio vi faccia prigionieri.
Questo è, perciò, il punto otto del mio ottalogo:
8. Non accontentavi di nessuna risposta, ma non smettete di cercarla, la vostra risposta.
A prestissimo, ragazzi.
La vostra Prof, Favella Stanca