Milano, 31 Ottobre, di ogni anno
Quando ero io al vostro posto, cari studenti, non si usava: Halloween era una festa con la zucca vista nel film di ET e se la memoria non inganna sovrapponendo al passato le nostalgie del presente, era buia, eccitante come un segreto tra bambini.
Mio padre mi faceva festeggiare l’ingresso nell’estate fredda dei morti con una visita al cimitero, il due Novembre: nulla di sacro, solo una consuetudine familiare per entrare in sintonia col passato e con le ombre.
Ora, invece, per le strade è un inseguirsi colorato e chiassoso di streghe e vampiri: «però non fanno paura, ci divertiamo e basta».
Di cosa avete paura ragazzi, allora? Non lo so, mi rispondete. Quali sono i vostri mostri, ne avrete! Scream (sempreverde), Casper (ma fa ridere), Lord Vader (1 punto in più nella verifica!). Valgono paure in genere, prof? Valgono. Allora ho paura dei ragni.
Io credo di conoscerle, le vostre paure che voi non conoscete: paura di non riuscire, a partire dalla scuola, una paura così grande che neanche provate a farcela.
Paura di restare soli.
Paura del silenzio.
Paura di perdere quello che avete. Le paure di tutti: paure da adulti.
Paure invece proprie di quel mondo confuso di sogni e incubi che intuiscono la vita nella trasfigurazione della fiaba, ne ricordate? Che fine hanno fatto, quelle paure?
Io me le ritrovo davanti la sera, nelle canzoncine e nelle filastrocche che dovrebbero accompagnare in un sonno tranquillo il mio bambino e che, invece, NON hanno mai consolato il mio sonno infantile:
Di cosa son fatti i bravi bambini? Di rospi, di rane e di dolcissime zampe di cane.
Da brividi. Immagina questa miscela da stregoneria e da seviziatore di animali da cui usciamo noi, bambini. Esseri spaventosi e sicuramente non amati, anche se la dolcezza delle nenie simula l’opposto.
Il bimbo piange? Ecco un classico sussurrato all’orecchio di tutti:
Ninna nanna ninna o questo bimbo a chi lo dò? Se lo dò all’Uomo Nero se lo tiene un anno intero.
Palese quanto ovvia minaccia di abbandono tra le braccia di un orco.
E ancora il ricordo di tempi di fame:
Pimpirulìn piangeva, voleva mezza mela, la mamma non ne aveva…
La mamma non andrà a cercartela, la mela, stanne certo Pimpirulìn: quel secco finale «Pimpirulìn sta’ zitto!» la dice lunga su un fatto: che non c’è risposta ai bisogni.
Quelli erano i miei mostri. Fatti di gesti dolci e toni gentili incoerenti con le ombre proiettate sul mio lettino .
Ma i nuovi mostri, i vostri, chi sono?
Ecco il compito per lunedì, ragazzi e se viene bene lo mettiamo su Internet.
La vostra Prof, Favella Stanca