Paul Woodward, preside della St. Whites School, Inghilterra, ha minacciato i genitori dei suoi allievi di avvisare i servizi sociali se il pupil fosse stato in possesso di un account Facebook.
Gli studenti di Mr Woodward hanno un'età compresa tra i quattro e gli unidici anni, ben sotto la soglia dei tredici ammessi dalla regolamentazione del social network. Lo stesso dirigente scolastico stima al 60% la quota dei suoi alunni attivi su Facebook, non solo via computer, ma soprattutto via smartphone.
L'appello di Woodward non è solo l'urlo di un insegnante esasperato, ma la voce del segretario dell'associazione nazionale inglese dei dirigenti scolastici, i quali in questo ultimo periodo hanno intrapreso una battaglia serrata con l'amministrazione Cameron affinché vari una legislazione ben più rigida a tutela dei giovanissmi.
Non solo social fever però: pare che i soliti videogiochi siano ancora una volta al centro del mirino. I dispositivi mobili infatti permettono ora di poter giocare sempre e ovunque, accedendo senza un adeguato controllo a contenuti sessualmente espliciti, o peggio, violenti.
Le motivazioni sono tanto logiche quanto semplici: se a sei anni tiri una pietra in testa a un altro con un joystick e questo si rialza è un conto, se lo fai con la manina e una pietra vera è un altro conto. Noi adulti lo sappiamo, ma i diretti interessati no. E non è un volerli sminuire, il nesso di continuità tra attività svolta sullo schermo e attività portata avanti nella vita per i Kiddies è assoluto!
Insomma un mio compagno in quinta elementare ha provato a gettarsi con l'ombrello aperto dalla finestra perché lo aveva visto fare all'ispettore Gadget. Fortunatamente abitava al piano rialzato e, a parte due dita rotte, è stato benone.
Il discorso è sempre uno e uno solo quando trattiamo con i Kids: non c'è bisogno di essere presidi e non c'è bisogno dei servizi sociali per esercitarci ed esercitarli alla consapevolezza.