Era notizia di un anno fa.
Settembre 2012. Un banditore di sogni scendeva in piazze virtuali, promettendo di traghettare fuori dal limbo la scuola e di illuminarla con il faro del progresso. Questa volta il Mago di Oz della Pubblica Istruzione non sceglieva di chattare, sorridente, con gli studenti, ma di far scintillare per un istante l'oro della vittoria: un posto nello Stato (che, visti i tempi, non si sa quanto e per quanto convenga). Un pifferario magico 2.0 cantava per noi, professori in circhi privati, aspiranti professori, professori in panchina, professori pro tempore nella Babele della scuola pubblica. Professori nel cuore, nonostante tutto e tutti.
Abbiamo accettato di farci valutare in un concorso, per l'ennesima volta, dopo la laurea, l'abilitazione, anni di insegnamento.
I media, che hanno memoria breve, davano fiato alle trombe il giorno del grande quiz che in tutta Italia avrebbe selezionato, come una falce su un prato, la prima tornata dei “migliori”: ecco la ruota del concorso del futuro da cui usciranno i professori del futuro, abili giocatori di Sudoku, esperti informatici e poliglotti d'esperienza. Ci siamo schierati sui banchi, sapendo che insegnare è ben altro. Abbiamo vinto, sapendo, ragazzi ricordatelo sempre, che il vincitore di una corsa a ostacoli vince anche se il vento della Dea Fortuna gli soffia alle spalle.
Ora è tutto finito. È passato un anno. Di cose ne sono cambiate. Proprio come nel Gattopardo. Ma per noi neanche il mantello è cambiato.
Un anno dopo, siamo ancora sulla sponda del fiume ad attendere il nostro traghettatore, augurandoci che non sia Caronte. Non tutti, è vero, ma molti. Tranquilli, ci rassicura il Mago di Oz, verrà il giorno dell'alloro. Nel frattempo saremo invecchiati ancora di più, in una scuola che si rifà il trucco come una vecchia signora. Forse il Grande Giocoliere ha sbagliato i conti. Forse abbiamo giocato.
L'Italia è bella, dicono, e io lo ripeto ai miei studenti, perché è un paese di sogni e di sognatori.
L'Italia, ragazzi, era bella: ora è un paese d'incantatori e di disincanti.
Però, poi, mi riprendo, non pensando che c'è chi sta peggio, molto peggio di noi: sarebbe una soddisfazione sterile. No, penso che noi sappiamo fare meglio, molto meglio di quel noi stessi di cui ci accontentiamo o in cui ci vorrebbero costretti.
Continuiamo a credere e a insegnare: che le regole non sono un arbitrio. Che il lavoro è un diritto che va preteso. Che bisogna lottare contro il silenzio. Che il futuro si crea oggi e lo creiamo noi, tanti piccoli grandi noi. Fiduciosi che da un brutto anatroccolo potrebbe nascere un Cygnus. Perché noi, professori di oggi anche senza un futuro sicuro, coi nostri studenti non giochiamo.
Ben ritrovati, ragazzi.
La vostra Prof, Favella Stanca