Sandro Natalini, Cappuccetto Rosso, Giralangolo
Alcune storie non finiranno mai di essere narrate, sono state e saranno richieste generazione dopo generazione, troveranno voci e rappresentazioni diverse, ma la loro forza resterà immutata, la forza – senza tempo – delle fiabe classiche.
È questo certamente il caso di Cappuccetto Rosso, una delle fiabe popolari più note, che probabilmente ebbe origine in Francia già nel XIV secolo, trasmessa oralmente prima di trovare la sua consacrazione scritta nelle due versioni principali: quella di Perrault nel Settecento, la versione scritta più antica e senza un lieto fine, e la versione (o, meglio, le versioni) ottocentesche a opera dei fratelli Grimm, che diedero alla nonna e alla bambina un lieto epilogo, fuori dalla pancia del lupo.
Una fiaba in pittogrammi
La versione a lieto fine è quella più diffusa e nota nelle tante varianti che ne fanno una delle storie più raccontate di sempre, grazie anche all’uso di diverse rappresentazioni e di diversi linguaggi, come ci conferma il recente Cappuccetto Rosso di Sandro Natalini, edito da Giralangolo.
Il libro di Natalini presenta alcune peculiarità che lo rendono speciale.
Prima di tutto, la struttura: si tratta di un leporello, ovvero di un libro a fisarmonica. Da una parte, come un lungo manifesto orizzontale, si legge solo il titolo della fiaba; dall’altra, aprendo una seconda copertina che rappresenta la casa della nonna malata, si sviluppa la fiaba vera e propria.
Poi, il linguaggio scelto per la narrazione: “C’era una volta”, così comincia, nel più classico dei modi, il racconto. Ma di parole poi non ne troverete altre (a parte l’altrettanto classico finale, “… e vissero felici e contenti!” ), la storia di Cappuccetto Rosso, infatti, è rappresentata tramite pittogrammi.
I pittogrammi sono disegni o simboli che non rappresentano il suono di una parola ma l’oggetto per come è visto. La comunicazione tramite pittogrammi richiede estrema semplicità e immediatezza, gli oggetti devono essere facilmente riconoscibili da tutti (sono pittogrammi, per esempio, le segnalazioni stradali). Così la nonna malata ha in bocca un termometro, vediamo attraverso le immagini il contenuto del paniere della bambina, leggiamo senza difficoltà, anche senza l’uso di parole, il dialogo tra Cappuccetto e il lupo. Attraverso dodici pagine, che sono anche un’unica lunga narrazione per esteso, si distende la classica fiaba, tutta giocata su tre colori (rosso, bianco e nero).
Una storia, tante letture
Essendo quasi un silent book (oltre all’apertura e alla chiusura, troviamo solo alcune parole per esprimere suoni, lo “gnam gnam” del lupo nel divorare nonna e nipotina, il “bang bang” del fucile del cacciatore…), lo spazio della narrazione si affida totalmente al lettore che potrà dare voce ai segni, arricchendo o semplificando la storia a seconda, anche, dell’età di lettura.
Ogni volta la storia – pur nella sua linearità, tra un inizio e una fine – potrà prendere strade diverse, proprio come le strade diverse prese da Cappuccetto Rosso e dal lupo per arrivare dalla nonna, uno dei percorsi di lettura che mi ha divertito maggiormente seguire.
Cappuccetto Rosso di Sandro Natalini ha vinto il Premio Andersen 2019 nella categoria Miglior libro fatto ad arte, un premio meritatissimo per il quale ci complimentiamo di cuore con l’autore e con Giralangolo.