Bentrovati cari kidz, sono stata assente per qualche settimana per via di un trasloco. Ho cambiato casa e città e, così, quello che sto attraversando è un periodo un po’ nostalgico, per cui sarà questo il tema di questo post e della poesia che ho scelto per il mese di marzo. Nella lingua sicula c’è un termine davvero molto strano per indicare quel misterioso sentimento che è la nostalgia ed è allammicu. Per spiegarvelo bene prendo in prestito i versi di un poeta agrigentino, Giuseppe Jannuzzo, padre del famoso attore Gianfranco, che la definisce così:
Chi è ca è l’allammicu vo’ sapiri?
Aspetta tanticchiedda ca t’u dicu.
Malincunia ti putissi diri:
ma no! ‘stu sintimentu è troppu nicu!Aspetta, ascuta, sì…, fammi pinsari:
è comu quannu, senza cuntintizza
firriamu ‘ntunnu senza nni firmari
ca forsi nni piacissi ‘na carizza.Vuoi sapere cos’è l’allammicu,
aspetta un attimo che te lo spiego.
Potrei chiamarla malinconia: ma no!
Questo sentimento è troppo piccolo!
Aspetta, ascolta, sì, fammi pensare:
è come quando, senza contentezza
giriamo intorno a qualcosa senza mai fermarci
e forse ci farebbe piacere una carezza.
Anche in portoghese, tanto per fare un altro esempio, c’è un termine altrettanto strano per indicare la nostalgia ed è saudade, però, mentre l’etimologia greca del termine fa riferimento al ritorno (nòstos=ritorno), nell’accezione portoghese si tende al futuro, per esprimere malinconia per qualcosa che non si è ancora vissuto o nostalgia del futuro per l’appunto.
Insomma, come avrete già capito, non solo la nostalgia è un sentimento a me molto affine, ma è anche una delle parole della nostra lingua che più mi è cara. Ed è in preda alla nostalgia che ho letto una raccolta di poesie del poeta turco Nazim Hikmet (1902-1963), che conobbe molto bene la nostalgia. Dovete sapere infatti che, per motivi politici, fu prima detenuto nelle carceri turche per dodici anni, poi, una volta scarcerato, per fuggire allo stretto controllo del governo al quale era sottoposto, decise di espatriare nell’ Unione Sovietica, vivendo in una dacia vicino Mosca, nel quale morì nel giugno del 1963. Nell’espatriare, non solo dovette lasciare la sua Turchia, ma lasciò anche l’amatissima moglie Munevvèr che all’epoca aspettava un bambino. Capite bene che di nostalgia lui se ne intendeva eccome! Tra le cose meravigliose che scrisse lontano dalla sua terra e dai suoi affetti ho scelto questi versi scritti a Varsavia nel 1960:
Durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
non dico che fosse come la mia ombra
mi stava accanto anche nel buio
non dico che fosse come le mani e i piedi
quando si dorme si perdono le mani e i piedi
e io non perdevo la nostalgia nemmeno durante il sonno
durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
non dico che fosse fame o desiderio
del fresco nell’afa o del caldo nel gelo
era qualcosa che non può giungere a sazietà
non era gioia o tristezza non era legata
alla città alle nuvole alle canzoni ai ricordi
era in me e fuori di me
durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
e del viaggio nulla mi resta se non quella nostalgia.
Nazim Hikmet
E qui mi fermo, non è più necessario aggiungere altro.