Ricordate la prima volta che siete stati a teatro? La prima volta che avete visto tutte quelle poltroncine in fila e il palco e il sipario? E quando le luci in sala si sono spente e gli attori sono apparsi sulla scena, lo ricordate? Ricordate cosa avete provato?
Abbiamo tutti la nostra prima memoria teatrale. Per qualcuno poi quella prima volta è stata così importante da volercela raccontare. Sentite un po’ quello che scrive Jean Cocteau, che non è stato un semplice scrittore, ma anche un regista, un poeta, un drammaturgo, uno sceneggiatore, un disegnatore, un attore, insomma un vero e proprio artista capace di grandi visioni:
«Dal tempo dell’infanzia e dalle uscite di mio padre e di mia madre per il teatro, ho contratto il morbo rosso e oro».
Sembra una brutta cosa «il morbo rosso e oro», in realtà quella febbre dal colore vellutato delle poltrone e dei palchi stuccati non è che una malattia benevola, quel desiderio che ti prende quando cominci un gioco che ti piace troppo e che non vorresti finisse più.
«Non mi ci abituo mai», continua infatti Cocteau, «Ogni sipario che si alza mi riporta al minuto solenne in cui, alzandosi il sipario dello Châtelet sul Giro del mondo in ottanta giorni, le voragini di luce e d’ombra si riunirono, separate dalla ribalta».
Una tela dipinta nascondeva il palco, ma non era abbastanza lunga da toccare il pavimento e allora il piccolo Jean poteva intravedere il va e vieni dall’altra parte, lo spettacolo che si preparava. Nella tela c’era pure un buco microscopico cerchiato di rame ed era l’unico varco attraverso il quale i due universi della scena e della platea potessero comunicare. Siamo negli ultimi anni del diciannovesimo secolo e lì, al teatro Châtelet, si sentiva odore di circo.
Cocteau ricorda il «rumore oceanico» del pubblico, la signora che vendeva urlando pastiglie alla menta, caramelle mou e pasticche dissetanti, le maschere, lo spettacolo prodigioso del lampadario di cristallo e infine la caverna misteriosa color fuoco nascosta dalla tela dove la magia del Giro del mondo stava per prendere vita.
Il teatro avrebbe continuato ad ammaliare Cocteau sempre con la stessa forza, come si fosse trattato eternamente della prima volta. «Lo rispetto. Mi intimidisce. Mi affascina. Mi ci sdoppio. Lo abito e divento il bambino che il giudice di controllo autorizza ad entrare negli Inferi». Degli Inferi davvero meravigliosi, non credete?