Lo sostengo con forza, praticamente da quanto ho iniziato a pensarci, qualche anno fa: tutto quello che succede è già successo, perché da qualche parte è stato scritto. E non si tratta di fatalismo, ma della vista potente degli artisti che si interrogano sulla realtà.
Vedete, da un mese al cinema (il film è tratto da un libro che ha avuto molto successo una decina di anni fa) c’è La vita di Pi, la storia di un ragazzo indiano che per 227 giorni vaga, alla deriva, nell’oceano Pacifico. Piccolo dettaglio: si trova su di una scialuppa con una tigre. Feroce.
Una delle belle cose dell’oceano pacifico è che, come dice il nome, è piuttosto calmo. Ma non se si va verso sud, diciamo più a sud dell’Australia. Perché lì le correnti caldi che arrivano da nord incontrano quelle fredde che arrivano dal polo sud.
Se ne è certamente accorto Alain Delord, un francese di 63 anni che stava facendo il giro del mondo in barca a vela, da solo e che è naufragato venerdì circa 500 miglia a sud dell’isola della Tasmania. L’hanno ripescato ieri sera. Buon per lui, no?
Ok, ma lasciatemi approfondire una cosa. Sapete come si chiama la tigre che sta sulla zattera con Pi? Richard Parker (proviene dallo zoo del papà di Pi). Ecco, quel nome torna molte volte nella storia dei naufragi.
Ad esempio: nel 1837 Edgar Allan Poe ha scritto in Storia di Arthur Gordon Pym ha raccontato di un gruppo di marinai che, naufraghi e alla deriva, tirano a sorte e decidono di mangiare uno di loro piuttosto che morire tutti di fame. Sapete come si chiamava quello che ha perso? Richard Parker! (infatti è da lì che l’autore di La vita di Pi ha tratto il nome della tigre).
E, che voi ci crediate o meno, alcuni anni dopo il racconto di Poe dei marinai a largo dell’Australia si sono trovati nella situazione di quel racconto. E come si chiamava il tizio che è morto? Sempre Richard Parker.
Che fine fa Pi, secondo voi?
