Porco schifo, va tutto storto!
Tutto storto… va tutto storto: la scuola, la casa, la famiglia, gli amici, la giornata, la mia vita. “Porco schifo!”. Eccomi entrata nella storia di Elisa: catapultata in un vomito di rabbia, di parolacce, di disprezzo per genitori, insegnanti, mondo, che solo gli adolescenti sanno riversarci addosso.
Ma Elisa è forte, è una spassosa narratrice talmente scontrosa da farsi voler bene, e allora la seguo, tra titoli di capitoli cancellati, caratteri tipografici improvvisamente grandi che urlano nella pagina e disegni in cui vorticano parole, personaggi, momenti, per vedere dove mi porta tutta questa sua rabbia. La seguo anche perché mi fido del giudizio di un bambino, che non si è mai divertito tanto nel veder sdoganate “parole proibite” sulle pagine di un libro:
“Bello, mamma. Elisa e Davide non sono contenti della loro vita. Elisa ha un fratellino down che la segue dappertutto, anche in bagno e lei vuole scappare, ma gli vuole bene. Allora lei e il suo amico Davide rubano il pulmino dell’associazione disabili e cominciano a viaggiare, per andare lontano”.
Non un racconto sulla disabilità
Tutto storto non è un racconto che parla della disabilità, perlomeno non quella che mi aspettavo di trovare.
Tutto storto è un libro che racconta la “disagibilità”: la condizione di essere, in una forma drammaticamente grottesca, non adatti allo scopo che pensiamo che gli altri si aspettino da noi; la condizione di essere fuori da qualsiasi contesto, capaci di dire sempre la frase sbagliata nel momento sbagliato. Che è poi la condizione dei tre quarti della popolazione, non solo di Elisa e di Davide.
Fratelli
Tutto storto racconta l’altra metà dei ragazzi disabili, quella dei loro fratelli “invisibili” e gelosi come tutti i fratelli. Elisa manifesta, senza falso buonismo, quel grumo di amore e di rabbia che la lega alla sua metà troppo visibile: “Come se avere un fratello ritardato mi rendesse automaticamente una brava persona! Come se dovessi esserlo per forza!”, “Ho diritto di deragliare”.
Elisa si sente storta, perché sorella dello “Storto”, ma, guardando una sua foto con lui, si illumina e comprende quattro cose fondamentali durante il suo viaggio:
che due persone “storte”, anche lei e suo fratello, sanno camminare diritte insieme
che tutti i viaggi servono a qualcosa, indipendentemente dalla meta
che quell’Elisa da cui lei scappa, nella foto accanto a suo fratello, forse è la vera Elisa
che suo fratello, lo storto, che “aspetta di continuare l’avventura” che la sorella “mette in pausa ogni volta che non è con lui”, quel fratello a cui non importa come la gente li guarda, mentre quegli sguardi e quelle facce di pena o di rimprovero feriscono Elisa, è il fratello, non uno come ce ne sono tanti, ma il fratello per cui lei è nata: “Ho un fratello”.
Andare lontano… per ritornare?
Tutto storto è un libro storto, nel senso che non va neppure diritto come ci si aspetta: proprio quando l’avventura di Elisa e di Davide sembra giunta al lieto fine politicamente corretto del ritorno e dell’accettazione, ecco invece che la corsa continua, ed Elisa e Davide scappano, sempre più lontano, sempre più fortunosamente, sino a fare come figli 2.0 di Mattia Pascal: gettano la propria identità, ne prendono una nuova, e salpano per Manhattan. Che ne sarà di loro? Non importa, perché se anche andrà tutto storto, cosa dobbiamo fare? Va bene così, perché nessuna strada diritta ci ha mai portati lontano. Ed anche Ulisse può tornare a Itaca solo dopo esser andato tutto storto…