Icinori, E poi, Orecchio Acerbo
E poi (Orecchio Acerbo editore) è una storia senza parole. L’ha disegnata e dipinta come un quadro Icinori.
Icinori è lo pseudonimo di due illustratori, Raphael Urwiller (che ci aveva già incantati con Quanta terra serve a un uomo) e la moglie, Mayumi Otero: come un’anima in due corpi, partoriscono nei loro album la bellezza materica di certi sogni. E poi, in modo particolare, allude a un mondo in bilico tra la fiaba e la contemporaneità, tra l’universo di simboli ancestrali (il bosco popolato da animali fantastici) e le allegorie e le icone del presente, come gli uomini martello e la pseudo Venere in costume da bagno, che sta sulla sua conchiglia come una modella sul cartellone pubblicitario.
Non è facile addentrarsi in una storia che col suo silenzio ti avvolge, ti seduce, ti spaventa. Lo si può fare con un bambino, che spesso ha occhi liberi, predisposti all’ascolto di un linguaggio solo iconografico, mentre noi adulti abbiamo più bisogno della mediazione delle parole.
Entriamo dunque insieme, io lettrice adulta e lui lettore bambino, dentro un bosco arcano, in mezzo a ombre cariche di segreti, dipinto sulla pagina come una serigrafia dai colori insoliti: gli alberi hanno la corteccia blu e il fogliame soffice, quasi nuvole incastrate tra i rami, sporche di bianco, velate di arancione e di rosa antico; nel sottobosco ci sono nere ombre di cespugli e, quasi inosservate, dietro i cespugli altre ombre nere, che non sono natura; se ne stanno mimetizzate nel sottobosco come elfi dispettosi o demoni di un altro mondo.
Il bambino che sfoglia le pagine li ha visti. Basta arrivare a settembre, quando le chiome fitte del bosco sono una colata di rossa lava, perché essi si rivelino: escono da dietro gli alberi, sono uomini martello, uomini sega, uomini incudine: “Guarda! Questo taglia un albero!”.
Inizia il tempo dell’inverno: gli uomini macchina sembrano giocare in mezzo alle creature del bosco. Un orso va a pesca, un bambino che durerà quanto durerà il freddo legge, i funghi tirano con l’arco, volpi lunghe come autobus corrono.
Sembrano giocare, gli uomini macchina, mentre spostano alberi e cespugli come i tendoni di un sipario e palesano una montagna innevata, e mostrano un lago e Venere in costume da bagno sulla sua conchiglia e sollevano la terra come un grande tappeto e denudano il paesaggio. Nel bosco spogliato, stravolto, ripulito, (tutto in disordine!) compaiono personaggi nuovi: due uomini sciano ignari, rincorsi da uno Yeti spaventato (non li vuole proprio sulla sua montagna!) e una mamma dall’aria cittadina col suo bambino passeggia.
Nasce la primavera, arriva l’estate e del bosco quasi più nulla rimane: gli uomini martello hanno costruito una ferrovia. C’è ordine. Le creature del bosco si affollano tutte, mescolate agli uomini, sulla banchina. “Partono?”.
Sì, partono le anime di un sottobosco immaginifico e reale, deportate su un treno, destinazione ignota.
L’album di Icinori (un altro tiro al centro di Orecchio Acerbo) richiede una lettura sensibile e attenta, perché ogni pagina, splendidamente illustrata, è densissima di dettagli, di personaggi, ognuno dei quali immerso nello spazio particolare della propria storia intrecciata a quella più ampia che si costruisce pagina dopo pagina. E pur in questa complessità, lo sguardo del piccolo lettore e di quello adulto ne restano rapiti e forse lo sguardo del bambino coglie con una semplicità profonda l’essenza dell’allegoria:
– È come la storia della nostra vita – dice il bambino – dagli animali agli uomini, prima c’era la natura, ora la città. Prima i sentieri nel bosco, ora le rotaie della ferrovia, le strade. Che peccato, però, che tutti gli abitanti del bosco debbano partire e ora non ci siano quasi più colori. E poi? –