Patrick Bard, Buio, Giralangolo
Nel giro di una settimana, nel gennaio del 2015, ho perso un amico, Michel Renaud, morto nella sede di «Charlie Hebdo», e ho saputo che il figlio di un’amica di mia figlia, che prima di allora non aveva mai avuto alcun legame con l’Islam, era partito per la Siria per unirsi al Jihād.
Da qui, da uno scorcio di realtà, tanto inatteso quanto terribile, che sconvolge le vite di più persone seppur in direzioni diverse e opposte, è nata nell’autore Patrick Bard, reporter e fotogiornalista francese, l’esigenza di raccontare la storia di Maëlle con il romanzo Buio, edito in Italia da Giralangolo.
Il libro, tra i finalisti del premio Mare di Libri 2018, nasce così a inizio febbraio 2015 e la sua stesura si è conclusa poco dopo gli attentati di novembre 2015 a Parigi.
Una storia, tante voci
L’autore per raccontare la storia di Maëlle ha costruito un romanzo corale e questo è uno dei punti di forza del libro. La vicenda si snoda nell’arco di un anno: bastano pochi mesi perché la vita di una ragazza di 16 anni cambi completamente, sconvolgendo anche la vita di chi le è vicino.
La voce principale è quella di Maëlle, che ora si chiama Ayat e vuole essere chiamata Ayat in famiglia, anche ora che è tornata a casa, in Francia, e la sua vecchia stanza da adolescente le sembra qualcosa di irreale e lontanissimo. Maëlle non sembra molto diversa da tante sue coetanee: vive nella banlieue di Les Mans, con la madre e la sorella minore, ha deciso di non vedere più il padre (da cui la madre si è separata e che vive con un’altra compagna), il suo tempo è occupato da amicizie, sport, scuola e, per qualche mese, anche da un ragazzo, Hugo, suo compagno di classe e primo amore.
Il racconto della vita di Maëlle comincia proprio dal suo rientro in Francia. Attraverso le parole della ragazza ricostruiamo i fatti che hanno segnato gli ultimi suoi mesi: prima di tutto sappiamo che è incinta e che Redouane (che ci è facile supporre il padre del figlio) è morto. Sappiamo anche che non è libera di uscire da casa, esce solo per firmare presso la caserma della gendarmerie mattina, mezzogiorno e sera.
La seconda voce che si unisce alla narrazione è quella di Aïcha, la psicologa che segue il ritorno di Maëlle in patria ed è consapevole che tanto è il lavoro che avranno da fare insieme. Seguono poi la voce di Redouane, il marito di Maëlle, anche lui arrivato in Siria dalla Francia; quella di Amina, un’altra adolescente di Le Mans, scappata insieme a Maëlle e ancora in Siria; Céline, la madre che fino alla partenza della figlia era ignara di tutto; Jeanne, la sorella minore che sapeva che cosa stava accadendo ma, poco consapevole della gravità degli eventi di cui era stata resa testimone, aveva mantenuto il silenzio; Hugo per qualche mese il ragazzo di Maëlle, che la vede cambiare e allontanarsi da lui nel giro di poco tempo; l’insegnante Frédéric da Silva e Souad, compagna di classe a cui Maëlle si avvicina solo in quanto musulmana.
Quando la rete diventa una trappola
Tramite queste voci vediamo Maëlle cambiare: quella che era studentessa acuta e brillante, sensibile verso le ingiustizie sociali, diventa una ragazza sempre più cupa e scontrosa, isolata e determinata, sempre più attaccata a un mondo virtuale, tramite il computer e il cellulare.
Proprio attraverso la rete e i social network, Maëlle conosce alcune ragazze che le scrivono dalla Siria, le raccontano della guerra e del Jihād, le mandano foto e video. Le sono accanto sempre, da loro si sente ascoltata e capita. Ha inizio così un vero e proprio lavaggio del cervello che si attua nel giro di pochi mesi. Pian piano Maëlle abbandona il suo profilo Facebook ufficiale, ne crea un altro con il suo nuovo nome, Ayat, cambia il modo di vestire e di mangiare, conosce un combattente che la corteggia e lo sposa su Skype, si fa convincere a lasciare la sua famiglia e partire per la Siria, per essere così una brava musulmana. Una volta partita per la Siria, troverà una realtà molto diversa da quella che le era stata raccontata e, pur conservando sempre la sua nuova fede, il fatto di diventare madre cambia in lei qualcosa, soprattutto nel momento in cui si salva miracolosamente da una bomba.
Pur partendo dal ritorno di Maëlle/Ayat per raccontare, a ritroso, la sua storia, quel che è certo è che questa storia non si conclude tra le pagine del libro, sia perché parte di una storia molto più grande e ancora in corso, sia perché il rientro in Francia è solo l’inizio di un lungo cammino di reinserimento, reso difficile dal lavaggio del cervello a cui la sua giovane mente è stata sottoposta.
La storia di Maëlle, la storia di tanti
Attraverso un punto di vista plurale l’autore – che, pur raccontando una storia di finzione, si è ampliamente documentato sul fenomeno dei foreign fighters (ragazzi e ragazze di tutto il mondo che decidono di affiliarsi ai gruppi jihadisti condividendone ideologia e vita) – cerca di comprendere e mostrare le motivazioni che possono spingere un adolescente a compiere una tale scelta. Allo stesso modo, il libro mostra come ci sia un vero e proprio sistema di indottrinamento, secondo il quale spesso gli indottrinati diventano a loro volta indottrinatori e ne smaschera le strategie di azione e comunicazione.
Mi chiedo spesso con quali occhi da ragazza avrei visto ciò che sta accadendo nei nostri giorni, come da adolescente avrei potuto seguire le notizie degli attentati terroristici che si susseguono, più o meno vicini a noi. Certamente questo libro, non ponendosi come giudice o come censore, documenta una realtà che non può essere ignorata anche quando spaventa, mostrando anche la necessità, sempre più urgente, di un pensiero critico e vigile sui contenuti che ci vengono proposti online.