Angelo Di Liberto, Il bambino Giovanni Falcone, Mondadori
Conosciamo tutti il Giovanni Falcone adulto, quello coi baffi che sorride dalle foto che ci vengono proposte ogni anno durante l’anniversario della sua morte. Conosciamo la sua storia e, purtroppo, la sua tragica fine. Ma quello che ci racconta Di Liberto, con l’aiuto delle sorelle Anna e Maria Falcone, è un Giovanni di sette anni che scopre la mafia e il male nella quotidianità, sentendone parlare per strada o a scuola. Il bambino Giovanni Falcone viene descritto come un libro che con la sua semplicità può arrivare più semplicemente ai bambini ma che con la sua profondità può arrivare al bambino che c’è dentro ognuno di noi. A conferma di ciò viene anche la prefazione al libro, scritta da Maria Falcone nella quale si legge: “Non si è mai troppo piccoli o troppo deboli per stare dalla parte del bene”.
Ed è proprio durante l’infanzia che Giovanni decide da che parte stare e lo scopriamo attraverso questa storia che, tra l’altro, è illustrata da Paolo D’Altan e che troviamo stampata in un colore inconsueto.
La storia inizia l’8 dicembre del 1946, festa dell’Immacolata, al piccolo Giovanni viene regalato un presepe, ma uno dei pastori lo turba e lui non riesce capirne il perché. Durante la processione dell’Immacolata, un momento che doveva essere di devozione e preghiera, succede una cosa terribile, il maresciallo Raffaele Sicurella viene ucciso da sei colpi di pistola, nella zona di Porta Nuova, retta dal boss Tano Filippone.
Quella stessa sera, Giovanni ascolta di nascosto i sussurri dei suoi genitori e scopre che sua madre Luisa è preoccupata per il marito Arturo, direttore del laboratorio comunale di igiene e profilassi. E le sente dire: «Non hanno paura di nessuno, arrivano dappertutto!».
Cosa voleva dire la mamma con quel “dappertutto”? Erano in pericolo? L’immaginazione del giovane inizia a volare fino a identificare il boss di Porta Nuova con quel pastore del presepe. Come è solito fare, gioca con la sua spada di legno, duellando con un ficus, ma stavolta non sono i duelli dei suoi amati moschettieri quelli che immagina, stavolta il suo nemico ha il volto di quel pastore e lotterà con una tale rabbia che gli verrà persino un gran febbrone. La famiglia inizia ad accorgersi del turbamento di Giovanni e le sorelle parlano con lui. Durante quel colloquio Giovanni dirà una frase che lascia di stucco le due sorelle: «Sono siciliano, non ho paura di morire». Una frase che Falcone ripeterà da adulto durante un’intervista.
Alla fine tutto andrà per il meglio e Giovanni con l’aiuto della sua famiglia si rasserena e quel pastore verrà finalmente rimosso dal presepe, al suo posto metteranno un piccolo ficus, come quello accanto al quale il piccolo Giovanni giocava. Un ficus proprio come quello che, dal 1992, a Palermo, in via Notarbartolo, ricorda il sacrificio del giudice. Un albero da allora conosciuto come l’albero di Falcone.