Bentornati! Rieccoci alle prese con i Versi in fila indiana, la rubrica in cui vi trattiamo da grandi e, abbandonate filastrocche e rime, vi proponiamo alcuni lavori dei più famosi poeti contemporanei e del ‘900. Per questo rientro. alle soglie dell’autunno, ho deciso di proporvi dei versi di Raymond Carver, tratti dalla raccolta Orientarsi con le stelle (minimum fax). Carver (1938-1988) fu un tipo davvero tosto, nonché uno dei maestri della letteratura americana che influenzò un’intera generazione di scrittori. Come si evince dalle date accanto al suo nome morì a soli 50 anni, consumato dai suoi problemi legati all’alcol. Questo suo vizio, però, non gli impedì di essere prolifico nel suo lavoro e di creare uno stile che resta tutt’oggi esempio di una scrittura vissuta, parola dopo parola, verso dopo verso, sul proprio corpo, sulla propria anima, sulla propria vita.
Il suo non dipingersi diverso o migliore è l’elemento che affascina di più delle sue opere. È, infatti, di certo più interessante la vita di uno scrittore come lui, al limite del dissoluto, che quella di un normalissimo essere umano qualunque. Come al solito non vi dirò di più, google è a vostra disposizione per ogni approfondimento, qui si fa poesia e quella di oggi s’intitola Tortura. Tranquilli, non è quello che credete, né tantomeno c’entrano la scuola, l’alzarsi presto al mattino o i compiti per casa. Sapete di quale tortura ci parla Carver? Quella dell’innamorarsi di nuovo e di tutto ciò che ne consegue come, per esempio, il desiderio di dirlo a tutti e la consapevolezza che innamorarsi un’altra volta probabilmente vorrà dire soffrire un’altra volta, torcersi dalla gelosia, ma anche stare bene come non lo siete mai stati. E tutto questo Carver ce lo dice così:
Tortura
Di nuovo ti stai innamorando. Stavolta
della figlia di un generale sudamericano.
Ti va di essere stiracchiato ancora sulla ruota.
Ti va di sentirti dire cose terribili
e di ammettere che sono vere.
Ti va che atti innominabili siano
consumati contro la tua persona, cose
di cui la gente perbene non parla a scuola.
Ti va di dire tutto ciò che sai
su Simòn Bolìvar, su Jorge Luis Borges,
e soprattutto su te stesso.
Ti va di coinvolgere tutti, in questo affare!
Anche alle quattro del mattino
e le luci sono ancora accese –
quelle luci che sono rimasta accese notte e giorno
per due settimane nei tuoi occhi e nel cervello –
e muori dalla voglia di una sigaretta e una limonata,
ma lei no, non spegnerà la luce quella donna
dagli occhi verdi con quel certo non so che,
anche allora vorrai essere il suo gaucho.
Danza con me, immagini di sentirle dire
mentre cerchi di prendere la brocca d’acqua vuota.
Danza con me, dice ancora, non c’è dubbio.
Approfitta di questo istante per chiederti, hombre,
di alzarti e danzare nudo con lei.
No, non hai la forza di una foglia caduta,
né la forza di un piccolo cesto di vimini
sbattuto dalle onde sul lago di Titicaca.
Ma balzi fuori dal letto
ugualmente, amigo, e danzi
in grandi spazi aperti.