Nell’attuale e ricca produzione di libri per bambini e ragazzi, troviamo un po’ di tutto: ci sono libri che possono piacere molto, poco o per nulla, ci sono libri che commuovono, che informano, che divertono, romanzi e albi illustrati per tutte le fasce d’età, libri senza parole e libri tattili… l’elenco non è certo finito qui, è certo invece che è molto raro trovare un libro che provochi una discussione, che faccia pensare, prendere una posizione, che porti chi legge a farsi una domanda, un libro che riesca a provocare una vera reazione, anche inversa a quella attesa dal suo stesso autore.
Questa è la necessaria premessa alla mia lettura dell’albo illustrato Biancaneve e i 77 nani, scritto da Davide Calì e illustrato da Raphaëlle Barbanègre, edito da Giralangolo.
La lettura ha provocato diversi tipi di risposte all’interno di YouKid e questo mi porta ora a dedicare al libro una lettura più attenta in cui vi riporterò quelli che (personalmente e dopo alcuni confronti) credo i suoi punti di forza e i suoi punti più critici.
L’albo appartiene alla collana, diretta da Irene Biemmi, Sottosopra, una collana (che apprezziamo molto e di cui abbiamo già avuto modo di parlarvi qui e qui) contro gli stereotipi di genere che propone al suo interno storie “di bambine e bambini, donne e uomini, liberi di agire, pensare e comportarsi senza vincoli legati al proprio sesso biologico di appartenenza”.
Come si può intuire dallo stesso titolo, l’albo è la rivisitazione di una delle più celebri fiabe, una riscrittura in chiave moderna e ironica.
Biancaneve, all’inizio della storia,
è in fuga dalla strega cattiva e trova rifugio a casa di 77 nani che, in cambio dell’ospitalità, le chiedono una mano per tenere tutto “un po’ in ordine”. Il compito, però, si rivela più impegnativo del previsto, a partire dai 77 nomi da ricordare, la gran quantità di bucato da lavare e da stendere, le 77 barbe da spazzolare la sera e le storie da raccontare prima di dormire (una per ciascuno, ovviamente). La mattina tutti vogliono la colazione nello stesso istante, ci sono da preparare 77 pranzi a sacco per il lavoro, neanche il tempo di un breve riposo prima che sia già ora di pensare alla cena, con le varie richieste che questa comporta, e – dopo mangiato – le pile di piatti da lavare. Molto meglio ritornare nel bosco, pazienza se c’è la strega, anzi, se le avanzano due mele avvelenate, quasi quasi Biancaneve ne approfitta per fare un bel sonnellino, pregando, scrivendolo a chiare lettere su un cartello, di non essere disturbata (anche da un eventuale principe).
Per la lettura della nuova fiaba, dobbiamo staccarci da qualsiasi sua lettura psicanalitica, come quella, a cui farò riferimento, de Il mondo incantato di Bruno Bettelheim. In quest’ultima, il periodo che Biancaneve trascorre con i nani rappresenta il suo periodo “di avversità, di problemi da superare, il suo periodo di sviluppo”; i sette nani sono fermi al loro sviluppo pre-edipico, sono legati a un ciclo fisso di attività, senza alcun cambiamento o desiderio di cambiamento. La matrigna, con il suo desiderio di liberarsi di Biancaneve (con cui è sempre più in competizione in parallelo alla crescita della bambina), è il personaggio in cui viene proiettata la gelosia del bambino nei confronti della relazione dei propri genitori. Quando Biancaneve mangia la mela avvelenata, simbolo di amore e sesso, segna la fine della sua infanzia e “dell’innocenza”, così come il sonno in cui cade rappresenta il finale periodo di preparazione alla maturità. Per quanto il compito del risveglio sia affidato a una figura maschile, si tratta di un passaggio fondamentale della fiaba perché segna il raggiungimento dell’età adulta e, alla luce di questo, le difficoltà che la ragazza ha vissuto sono state dolorose ma necessarie esperienze di crescita (ho qui semplificato la lettura molto più articolata di Bettelheim a cui rimando).
In Biancaneve e i 77 nani
il centro della storia è la vita di Biancaneve con i nani; non sappiamo perché, all’inizio della storia, la strega stia cercando Biancaneve nel bosco e, alla fine dell’albo, le offre esplicitamente delle mele avvelenate. I 77 nani, gentili ma “sporchi, rumorosi, disordinati, litigiosi”, fanno subito pensare (nonostante le barbe) a tanti piccoli figli-bambini, con le richieste all’ora di cena, le pretese impossibili e nessuna intenzione di alzare un dito per dare una mano, il loro compito quotidiano è solo il lavoro, come – invece – tanti piccoli padre famiglia. Le figure maschili, quindi, ricalcano uno stereotipo di uomo e Biancaneve si trasforma in una casalinga disperata.
L’albo colpisce in particolar modo per due aspetti: l’ironia (che si rimanda perfettamente tra testo e illustrazioni) presente in ogni doppia pagina: si ride e si sorride leggendo e vedendo i 77 nomi impossibili da ricordare a memoria, vedendo negli occhi di Biancaneve il desiderio di addentare le mele avvelenate, davanti alla sua mascherina da notte e al cartello ben chiaro: “Per favore NON SVEGLIATEMI. Grazie”.
Bellissime le illustrazioni di Raphaëlle Barbanègre, giovane illustratrice francese (classe ’85, residente attualmente in Canada) per la prima volta edita in Italia; le sue figure, dinamiche ed eleganti, sono ricche di colore, dettagli e humor. Diverte molto leggere le reazioni di Biancaneve nella sua figura: l’espressione degli occhi davanti alla valanga dei nomi dei nani, i capelli arruffati e la faccia assonnata e sconvolta del mattino al risveglio, le occhiaie e l’espressione sempre meno dolce e più irritata man mano che si trova sommersa dai piatti da lavare e dalle continue richieste dei nani; la vediamo ritrovare il sorriso solo nel momento del (meritatissimo) riposo.
Se alcune fiabe continuano ad essere ascoltate
dai bambini (basti pensare a Cenerentola, novella antichissima di cui sono state trovate tracce in forma scritta nella Cina del IX secolo a.C.) è perché come il mito, a cui sono in parte legate, “hanno poco da insegnare circa le specifiche condizioni della vita moderna [ma] esse possono essere rivelatrici circa i problemi interiori degli esseri umani e le giuste soluzioni alle loro difficoltà”, insomma, come scriveva anche Schiller in I Piccolomini (III,4), “C’è un significato più profondo nelle fiabe che mi furono narrate nella mia infanzia che nella verità qual è insegnata dalla vita”.
“Ogni fiaba è uno specchio magico che riflette alcuni aspetti del nostro mondo interiore, e i passi necessari per la nostra evoluzione dall’immaturità alla maturità. Per noi che c’immergiamo in quanto la fiaba ha da comunicare, essa diventa una profonda e calma pozza che in un primo tempo sembra riflettere soltanto la nostra immagine; ma dietro di essa scopriamo ben presto le tempeste interiori della nostra anima: la sua profondità, e i modi per trovare la nostra pace interiore e col mondo, quale premio delle nostre lotte” (cito sempre Bettelheim).
Ciò che spicca nella fiaba rivisitata (la freschezza e l’ironia che arriva sia ai bambini che agli adulti) finisce così in parte per spogliare Biancaneve dei suoi significati più profondi, in una rivisitazione in cui manca il “premio” per le lotte interiori. La pace interiore col mondo non può essere mettere una mascherina sugli occhi e fare una bella e lunga dormita. E se è vero che Biancaneve per la sua crescita non ha bisogno di essere svegliata da un principe, è anche vero che il finale la vede in parte sconfitta. Sì, ora i nani dovranno imparare, volenti o nolenti, a cavarsela da soli, la strega ha raggiunto il suo scopo (anche se il suo ruolo nella storia è veramente marginale, spoglio di qualsiasi tipo di conflitto), del principe non scorgiamo nemmeno l’ombra, ma sarebbe stato bello vedere Biancaneve “svegliarsi” veramente, prendere in mano la sua vita e uscire dal bosco per affrontarla, sola o meno, poco importa. Così ci rimane la curiosità di sapere tutte le cose meravigliose che Biancaneve avrebbe potuto fare una volta uscita da una fiaba (che le sta stretta).
[Grazie a Laura, Federica e Silvia per aver condiviso spunti e reazioni a cui sono debitrice per questa lettura]