Petaloso non è più un neologismo ignoto: potenza dei social, cari ragazzi.
Un tempo bisognava chiamarsi D’Annunzio e aver scritto cose dannunziane per sdoganare l’amore sororale, giusto riconoscimento alla parità dei sessi perché il nostro D’Annunzio, poeta e scrittore dotato d’immensa autostima ma anche di un certo amore per la precisione semantica, pensò che il legame che unisce due sorelle meritasse un aggettivo tutto suo e quindi creò questa splendida parola, che ci omaggiava attingendo alla lingua latina nostra madre: se sorella si dice soror, l’amore di mia sorella sarà sororale, mica fraterno.
Ora i social accolgono con amore le nuove parole e consentono a Matteo, alla sua lungimirante maestra Margherita e al prammatico papà, che ha brevettato il marchio petaloso, di aprire all’invenzione le porte del dizionario della lingua italiana: è bastato che l’Accademia della Crusca scrivesse che la parola, pur coerente e suggestiva, per essere adottata debba diventare d’uso comune e che la pagina Facebook della maestra Margherita pubblicasse la risposta cruscana (è un neologismo), perché l’entusiasmo del Web rimbalzasse petaloso di tweet in tweet, tra incipit da romanzo, usi propri e figurati (più figurati che propri) e la facesse, nel tempo di un byte, parola di uso comune, perlomeno per il tempo della memoria della rete (che si sa, s’accende e si spegne con pari istantaneità).
Ho letto qui, poi, che petaloso è uno strano aggettivo che compare in un volume di botanica del Seicento, probabile frutto di errore o di cattiva conoscenza della lingua latina di cui l’aggettivo sarebbe traduzione: è probabile che Petiver, seicentesco latore del termine, si sia reincarnato nel piccolo Matteo per rivendicare l’autorità di quella che allora gli fu attribuita come svista da ignorante.
Ogni bravo allievo, però, ha una straordinaria creatività linguistica e la creatività, nel 98% dei casi con l’eccezione di Matteo e di D’Annunzio, non è frutto di meditazione volontaria, ma di istintivo estro, quello che arriva da una spensierata ignoranza delle parole.
Oggi, quindi, sulla suggestione di petaloso, voglio raccogliere qualche amenità, petali del fior fior della lingua italiana che sfoglio tra le vostre verifiche di grammatica:
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quale sostantivo deriva da giovane? Gioventù? Banale. Giovinezza? Scontato. Un mio piccolo Saba di prima media scrive Giovanezza e un altro, da antico, dopo lunga meditazione rievoca antichezza: gemme antiche della nostra lingua conservate nel vostro DNA da Net-Generation.
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Verbo dire, scrivi la seconda persona singolare dell’indicativo presente: “dite? Non direi…, ah, ecco, dicite!” Penna rossa? No, non posso correggere la forma latina del verbo, dìcitis, per rispetto dell’antico romano che parla in voi.
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Sempre sulle parole derivateda cattivo deriva cattività! E ancora una volta, è la prova che semo de Roma! Cattivo è il latino captivus, il prigioniero e, quindi, cattività, la condizione di stare in gabbia, sta a cattivo come il cacio sui maccheroni… No, anche stavolta non me la sento di castigare la voce del passato.
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Ma l’Oscar è per lui, per quel mostruoso derivato dalla parola dispetto…
come, non vi è mai capitato di comprar dispetti da lui, il dispettaio?
La Prof, Favella Stanca